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Giorgio Perinetti si racconta: “Dai campi della chiesa a Maradona. Sogno la B per dedicarla ad Emanuela”

Esclusiva TMW
di Alessio Alaimo
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Classe 51, Giorgio Perinetti ama definirsi dirigente anziano con idee giovani. Sempre al passo coi tempi. In carriera ha raccolto tante sfide. La prima durante gli anni dell’università, tra un libro e l’altro i preti di un campo romano avevano affidato a lui e ai suoi compagni di squadra una missione: aiutare i più piccoli a capire le dinamiche del calcio. Detto-fatto, Giorgio Perinetti - terzino per poco tempo prima di capire che la carriera a cui era destinato non era quella - si mette alla ricerca dei talenti più puri di Roma. E così la squadra dei preti costruita da quel giovane - che in quei giorni non immaginava di ritrovarsi nel calcio dei grandi con Diego Armando Maradona - vince e convince fino ad attirare l’interesse della Roma. Giorgio Perinetti si racconta per i giganti del calcio di TuttoMercatoWeb.

Perinetti, lei e il mondo del calcio: come scatta la scintilla?
“Non seguivo molto il calcio, per non isolarmi dagli amici però iniziai ad interessarmi. E a quei tempi la televisione l’avevano in pochi. Mi appassionai al mito di Sivori, cominciai a seguire il calcio come un suo tifoso. E poi ho avuto la fortuna di conoscerlo”.

Nel suo curriculum c’è anche un passato da calciatore…
“Da giovanissimo ho tentato di giocare come terzino destro in squadre di allievi e dilettanti, ma ero scarso: meglio smettere subito”.

Effettivamente la strada da seguire era un’altra…
“Andavo ad allenarmi a l’Imbrecciato con i compagni dell’Università. Ad un certo punto i preti ci dissero: vinciamo il campionato, ma dovete aiutare i più piccoli. Così creai una squadretta che batteva tutti. Mi notò una scuola calcio, portai tutti i ragazzi che avevo scelto per la squadra della parrocchia. Mi avevano chiesto di selezionare i migliori, gli dissi che lo erano tutti. Facemmo un torneo notturno e battemmo la Roma che così si interessò a me e voleva sapere chi fossi. Mi presero al settore giovanile facevo l’accompagnatore, l’osservatore. Correva l’anno 1971, avevo vent’anni”.

E li iniziò la sua storia con la Roma.
Nel 74-75 conobbi Liedholm e mi prese in simpatia perché conoscevo tutti i nomi e sapevo tutto. Mi chiese di interessarmi un po’ allo scouting creando un archivio con i giocatori da seguire. La Roma arrivò terza e sull’onda del successo il dottor Carlo Mupo avellinese mi propose di fare del calcio il mio lavoro. Ero un universitario che chiedeva udienza e aveva voglia di lavorare: nel 1975 firmai il mio primo contatto”.

Sulla sua strada poi arrivò Luciano Moggi.
“Il primo anno non furono rose e fiori. Non mi vedeva come una persona sua. Dopo qualche problema mi disse che sarei diventato il suo collaboratore. E quindi cominciai col mercato di Milano e al mio primo calciomercato arrivarono… i Carabinieri. Campana, presidente dell’AIC, aveva fatto un esposto contro il calciomercato. Ci volle un decreto legge di Andreotti per mettere a posto la situazione”.

La Roma è stata una palestra importante.
“Sono stato sedici anni alla Roma, poi sono tornato per tre anni. Tutti in quegli anni mi chiamavano per fare il direttore, Allodi avrebbe voluto mandarmi al Modena, ma non mi sentivo pronto e rimanevo in giallorosso per lavorare e crescere dall’interno”.

Poi andò al Napoli. La squadra vinse il campionato ma in quegli anni lei comunicò a Maradona che sarebbe stato squalificato…
“Gia, al più forte del mondo. Può immaginare che non sia stata una bella sensazione”.

Un’altra tappa importante della sua vita calcistica e personale si chiama Palermo..
“Un campionato di C vinto, dieci anni dopo un altro e poi la promozione dalla Serie B alla A con Iachini”.

Sia con il Palermo che con il Bari lei è ancora oggi l’ultimo direttore ad essere stato promosso dalla Serie B alla Serie A.
“Sono state esperienze gratificanti ricche di entusiasmo”.

Perché l’addio sia da una parte che dall’altra?
“A Bari fu una cosa strana. Matarrese mi chiese di andare al Siena, fui costretto a lasciare… aveva stretto rapporti con il Montepaschi e fui il collante per sancire l’accordo. Ma mi rimarrà sempre un grande ricordo: quando arrivai dissi che avrei voluto vedere il San Nicola pieno. Ci siamo riusciti. A Palermo il primo anno vincemmo ma poi la società aveva delle difficoltà e preferì non rinnovare. Con Sensi poi andava tutto bene, ma subentrò Zamparini che aveva i suoi uomini di fiducia. L’anno con Zamparini invece avevamo vinto il campionato… ma poi il presidente virò su Ceravolo. Mia moglie non stava bene, mi sono fermato anche perché volevo starle accanto”.

Poi il Venezia…
“Avevo appena perso mia moglie e Tacopina mi diede la forza di reagire ritrovando il calcio più puro dalla Serie D. Vincemmo subito e facemmo una bella scalata”.

E lei lasciò per andare in Serie A, al Genoa.
“Il richiamo della Serie A, un triennale. Quell’anno mi sorprese che il Venezia che aveva annunciato il mio rinnovo tergiversava nel fare passi avanti. A Venezia i miei avversari erano più in sede che fuori: c’era qualche dirigente a cui facevo ombra che non mi ha aiutato”.

Dopo Preziosj andò da Cellino, a Brescia.
“Un’esperienza formativa. Da Cellino c’è sempre da imparare, è un presidente molto difficile da accontentare. Nonostante la mia età ho imparato alcune cose. Nella prima esperienza a Brescia scoprimmo Clotet, un allenatore molto preparato che farà parlare di sé. Sapete tuti che Cellino è scaramantico: credo di essere stato l’unico dirigente nato il 17 ad aver lavorato con lui”.

Poi tornò a Siena, doveva già aveva fatto bene. Ma l’esperienza durò poco.
“Dovevamo fare la D, fummo ripescati velocemente in C. C’era un giovane Gilardino. Ma fuori dal campo c’era un po’ di confusione: la proprietà armena cambiò e diventò russa. Avevo preso Bisoli, potevamo risalire. Ma non fu possibile. Arrivò Maddaloni, che fu molto sfortunato. Poi andai via”.

E quindi il ritorno a Brescia.
“Cellino voleva ricomporre la coppia che aveva lavorato bene. Non è andata nel migliore dei modi, siamo riusciti a chiudere l’anno con il clamoroso gol del Cosenza che ci ha condannato alla retrocessione poi però cancellata dal ripescaggio”.

E in pieno inverno ha preso la polmonite…
“Non ho potuto partecipare al mercato di gennaio perché ero ricoverato. Avevo preso alla leggera la cosa invece mi ritrovai in terapia intensiva. Ma Cellino chiamava anche lì (sorride, n.d.r.)”.

La nuova sfida adesso si chiama Avellino.
“Una proprietà solida con un presidente che lavora e fa lavorare. Il girone C è molto complicato, siamo in lotta. Alcune battute a vuoto in casa ci hanno frenato nella rincorsa ma c’è ancora tempo. Cercheremo di giocarcela fino alla fine. Altrimenti con i playoff. Dobbiamo ricostruire da un quattordicesimo posto. Vogliamo fare bene”.

Per lei l’ultimo periodo è stato segnato dalla tragica perdita di sua figlia Emanuela. Sarebbe bello dedicarle la promozione dell’Avellino…
“Dopo la scomparsa di mia moglie, il mio secondo lutto tragico. Mia figlia Emanuela, che si cimentava nel settore del marketing sportivo. La mia ragazza. Ci confrontavamo anche su temi calcistici. Mi manca tanto, occupava le mie giornate. E si, il mio sogno è dedicarle la promozione in Serie B. Qualche battuta a vuoto rischia di rimandarlo. Ma mi piacerebbe farle questo regalo”.

Chi è Giorgio Perinetti fuori dal campo?
“Non esiste, sono sempre in campo. Sono sempre sommerso dal lavoro. Mi piace stare con gli amici, mangiare e bere un buon bicchiere di vino. Il mio lavoro coincide con la mia passione, non sai mai quando stai lavorando e quando invece trascorri del tempo libero”.

Lei ha condiviso gli anni della scuola con Verdone e De Sica.
“Come dice Pirandello, l’ironia salva la vita. Mi piace prendere le cose con una certa ironia e distacco altrimenti devi passare alla follia. Abbiamo passato gli anni belli: la scuola, il 68…. Abbiamo affrontato certi temi con ironia, è stato un bel periodo. E quando ci ritroviamo ricordiamo quei momenti”.

Com’era tra i banchi di scuola?
“Minimo sforzo e massimo risultato. La mia forza era essere considerato il pupillo dei professori di lettere. Studiavo al Nazareno. Facevo il mio tema in un’ora, nelle altre quattro doveva fare quello di De Sica…. Ero molto portato in Italiano. Una volta al liceo Augusto a Roma nell’Aula Magna dettarono il tema, avevo cinque ore. Consegnai dopo quaranta minuti. Il professore mi disse ‘ma perché si scoraggia? Deve andare avanti. Si prenda del tempo….’. Invece avevo finito. E con quel tema vinsi una borsa di studio”.

Al calcio lei ha dedicato anche una poesia.
“Un modo per ricordare tutti i presidenti. E c’è ancora spazio per qualche altra strofa”.

Vediamola insieme…

LA VITA MIA CO' LI PRESIDENTI

Da quarant'anni sto in sto pallone
Cominciai giovane cor giovane Anzalone

Poi passo dopo passo come a scola
So cresciuto cor grande Dino Viola

Ma pe'nun famme più chiama' regazzino
M'annetti a fa scafa' da Corrado Ferlaino

Ma pe' lavora' se va a tutti li pizzi
E giù fino a Palermo co Ferrara e co Polizzi

Ma la Vita Nun è come la pensi
E infatti de botto me chiama Franco Sensi

Ho avuto dirigenti ricchi e poverelli
Ma puro è vero Gianni e Umberto Agnelli

L' istinto però era degli avventurosi
E me spinsi a fa Giochi da Preziosi

Era tempo proprio d'elezioni
E Sensi me rivolle co D'Antoni

Non tutti i Presidenti sono saldi
Io me ne accorsi a Napoli co Naldi

Quando ogni cosa me pareva annasse buca
Ottenni la fiducia col sogno de De Luca

Ho fatto forse male a negamme a Berlusconi
Pe ritrovamme poi in mano ad Angeloni

Ma essendo la Vita piena de sorprese
Eccome pronto a di grazie a Matarrese

Costretto lascio Bari dispiaciuto
A Siena me risveja Er Monte ben pasciuto

Er carcio se sa Nun c ha confini
Da capo a Palermo Dar vivace Zamparini

Vince però Nun serve a niente
E le valige faccio immantinente

Intanto Daniela mia unica amata Presidente
Me vola in Cielo senza pote' fa niente

Distrutto annavo co la testa china
In laguna me la riarza dagli USA Tacopina

Nessuna esperienza però risulta eterna
E Preziosi riaccende la Lanterna

La pandemia me stende come fosse vino
Dar divano me strappa un diabolico Cellino

A Siena son tornato in gran letizia
Ma LArmeno di colpo interrompe l amicizia

Pep lo spagnolo me riporta da Cellino
Ma l'annata se rivela davvero un gran casino

E mentre mi sfiora un certo quale vento
Dal grande D'Agostino invece mi presento

____ _ _ _. _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _

Er Carcio se sa premia geni ma anche puro inetti
Io me contento d'esse stato Perinetti

© Riproduzione riservata
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Lunedì 20 Maggio 2024
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