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Dal degrado di Napoli all’Olimpo del calcio: Mario Giuffredi si racconta

Esclusiva TMW
di Alessio Alaimo
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© foto di Federico De Luca

Dai quartieri popolari di Napoli al calcio che conta. Mario Giuffredi oggi è uno dei procuratori più importanti d’Italia. Dietro il suo successo c’è grande sacrificio, voglia di arrivare, determinazione, passione. Mario è come lo vedi: schietto, sincero. E il suo è il volto di chi ce l’ha fatta con le proprie forze partendo da zero. Con un bagaglio di sogni, speranze e ambizioni un giorno ha preso il volo per la Toscana. E il resto è storia. Una storia che TuttoMercatoWeb ha deciso di raccontare per la rubrica “I giganti del calcio”. Il procuratore napoletano ci apre le porte di casa sua e chi lo conosce bene racconta che non è cosa di ogni giorno. Poca gente ha varcato il cancello della sua residenza. Raccogliamo l’invito e ringraziamo. Tra devozione verso Padre Pio, un centro benessere in casa per i momenti di relax dove campeggia un murales con Maradona e Baggio e tanti cimeli, Mario Giuffredi ci apre le porte e si concede per due giorni ai nostri microfoni senza filtri. Ma prima è d’obbligo un tuffo nel passato. Così per cominciare la chiacchierata, nel cuore della notte ci concediamo una passeggiata per le vie del quartiere Ponticelli, a Napoli. Da quelle parti Mario conserva amicizie d’infanzia, ricordi ed emozioni indelebili.

Giuffredi, partiamo dalla sua infanzia.
“Sono originario di Ponticelli. Per tanti anni della mia adolescenza ho frequentato un quartiere degradato di Napoli. Qui nella vita è tutta più difficile e chi riesce a fare qualcosa ha realizzato una mezza impresa. A Ponticelli ho ancora tanti amici. Sono molto legato alle mie origini”.

Il suo primo lavoro?
“Vendevo i fiori nei mercati. E andavo in giro per le case a vendere le mozzarelle. Mi davo da fare. Erano tempi duri, bisognava fare di tutto per sopravvivere”.

Come si avvicina al calcio partendo da Ponticelli?
“Avevo ventidue-ventitré anni. Ho iniziato a lavorare in una scuola calcio di Ponticelli come preparatore dei portieri. A livello dilettantistico da giovane giocavo in porta”

Immagino che da bambino guardasse il Napoli…
“Il Napoli è sempre stato una passione, un amore. Poi a quei tempi c’era Maradona: il giocatore più grande della storia. Difficile, quasi impossibile, non innamorarsene”.

Si guarda intorno a Ponticelli e ripensa al suo passato. Cosa le viene in mente?
“Penso che se dovessi morire e rinascere altre cinque volte non riuscirei mai a fare la vita che faccio adesso. Ho avuto un’infanzia difficile, ho vissuto in un quartiere degradato. E quando vieni da zone periferiche e vivi in situazioni poco felici devi faticare due volte di più degli altri. Ho sognato e i sogni con tantissimo lavoro e molti sacrifici sono diventati realtà”.

Quanti amici ha ancora oggi a Ponticelli?
“Tanti. Perché la mia mentalità mi impone di non voltare mai le spalle a quelli che sono stati i miei amici di infanzia, di quando me la passavo male ed ero un ragazzo di strada che viveva alla giornata. Si, ho ancora tanti amici. Ma li vedo poco perché a Napoli sto sempre meno per impegni di lavoro. Quando possibile, magari nel periodo natalizio, però, rivedo tutti molto volentieri”.

E nel calcio?
“Pochissimi. A parte i miei collaboratori, nel calcio gli amici sono il 3 o 4% delle conoscenze”.

Lei è napoletano. E spesso purtroppo il collegamento con la malavita per qualcuno sembra quasi naturale. Come vive questa etichetta?
“Su noi napoletani i pregiudizi ci sono sempre stati. Sicuramente fa male, come in tutte le città ci sono le brave e le cattive persone, quelle che partono dal nulla e si realizzano e quelle che invece prendono strade poco felici. Certamente, per quanto riguarda le dicerie, paghiamo la nostra napoletanità. Però per uno come me è uno stimolo in più per dimostrare che tra i napoletani c’è tanta gente vincente, di livello, perbene”.

Calcio a parte, le sue passioni?
“Non ho molte passioni. Ho sempre vissuto il 70-80% della mia vita per il mio lavoro. Sono uno che lavora venti ore al giorno. Quando sono stanco però mi dedico al centro benessere che ho fatto costruire a casa mia”.

Nel suo centro benessere c’è un murales con le foto e le frasi di Maradona e Baggio.
“Entrambi sono la reincarnazione del calcio. Le due persone che hanno alimentato la mia passione. Quando guardo i loro video mi viene voglia di lavorare ventiquattro ore al giorno. Maradona l’ho conosciuto da bambino; Baggio no, non ho mai avuto l’onore e il piacere di incontrarlo e conoscerlo è uno dei pochi desideri che mi rimane da realizzare perché è stato il giocatore italiano più forte di tutti i tempi”.

Cantante e canzone preferiti?
“Tutti i ragazzi di Napoli siamo cresciuti con i cantanti neomelodici. Sono un fan di Nino D’Angelo, ho avuto l’opportunità di conoscerlo personalmente e creare un rapporto di amicizia. Sognavo di incontrarlo fin da bambino. E una sua canzone dal titolo Senza giacca e cravatta, rispecchia la mia vita”.

E poi c’è la fede. A casa sua campeggia una statua di Padre Pio.
“Non mi piace rivendicare la fede. Ma ho un rapporto speciale, particolare, con Padre Pio. È una figura della chiesa che mi ha sempre accompagnato nel percorso di vita. Sono molto devoto a Dio ma soprattutto a Padre Pio”.

Chi è Mario Giuffredi?
“Una persona che si occupa di fare anche il padre di famiglia seppure non sempre presente a causa del lavoro. Cerco di crescere i miei figli in modo sano, dandogli una strada e soprattutto il lavoro che faccio tutti i giorni serve per realizzare la loro vita”

Cosa è per lei il calcio?
“Una passione, un amore eterno. Non sono uno che guarda ai soldi. Ho sempre messo davanti a tutto l’amore per il calcio. Poi se lavori bene i soldi sono una conseguenza”.

In casa ha anche un campo da calcio…
“È un modo per passare un po’ di tempo con mio figlio che sta iniziando ad avere una grande passione per il calcio”.

Suo figlio Piermario ha sei anni. Se quando crescerà le dicesse di voler percorrere la sua strada da procuratore?
“Ai miei figli non dico mai cosa fare né sul piano scolastico e né sulle loro passioni e ambizioni. Se un giorno di sua spontanea volontà mio figlio mi chiederà di fare questo lavoro non potrò impedirglielo. Da quello che vedo però non fara questo lavoro e ne sono felice”.

Perché?
“Perché nel mondo del calcio non puoi essere te stesso. E vorrei che i miei figli mettessero sempre in mostra il loro modo di essere, cosa che io nel mio lavoro non posso sempre fare”.

Dove si vede tra dieci anni?
“Nel mio percorso professionale ho un altro gradino della mia passione da scalare: voglio fare il dirigente”.

Se un ragazzo come il Mario Giuffredi di qualche anno fa le chiedesse dei consigli per fare il procuratore?
“Se chi mi avvicina è un ragazzo che parte da zero posso dirgli che si deve lavorare ventiquattro ore al giorno e che deve mettere in secondo piano gli amori, la famiglia e le passioni. E poi gli direi di lavorare sempre seriamente. La credibilità è la carta di credito più preziosa che ci possa essere”.

Ha presentato il suo libro, La strada di un sogno, allo stadio Maradona. Che effetto fa ripensandoci?
“È un’emozione speciale. Non avrei mai pensato di vivere lo stadio da professionista. Non c’era luogo migliore e più opportuno per presentare un evento importante per la mia vita”.

Il capitano del Napoli dello Scudetto, Giovanni Di Lorenzo, è un suo assistito. Che sapore ha?
“Dopo la nascita dei miei figli è una delle gratificazioni più importanti della mia vita”.

Tre aggettivi per descriversi?
“Serio, credibile e vero”.

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