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Roberto Martinez al Portogallo per volare alto. Genesi di una scelta e di un percorso affascinante e rischioso. Con una ispirazione chiara

di Carlo Pizzigoni
Giornalista, scrittore, autore. Quattro libri, tanti viaggi. Tutti di Calcio. Su Twitter è @pizzigo. Su Twitch con @lafieradelcalcio
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“Come Cruyff non c’è nessuno!”

Ho incrociato Roberto Martinez nella sala hospitality dello stadio Città del Tricolore di Reggio Emilia. Si giocava l’Europeo under 21 prima di una gara del Belgio, e il tecnico catalano era venuto ad osservare da vicino i talenti che avrebbe potuto introdurre nella nazionale maggiore di cui era CT. Una nazionale che aveva appena raggiunto la semifinale del Mondiale in Russia, arrendendosi solo alla Francia poi campione, al termine di una gara equilibrata. Una delle maggiori generazioni del calcio belga aveva raggiunto il suo apice, e dopo gli anni bui del periodo passato, con Martinez i Diavoli Rossi avevano ritrovato blasone (certificato dal primo posto nel ranking FIFA) e quella competitività che attorno a Bruxelles non si vedeva dai tempi di Guy Thys, profondi anni Ottanta. Lasciandosi così alle spalle gestioni senza visione o percorsi mediocri come quello di Marc Wilmots: il Belgio con Roberto Martinez aveva trovato identità di gioco e chiarezza nella proposta poi stabilizzatosi attorno a un mutevole 3421-3241. Nelle poche battute che mi concesse quel pomeriggio a Reggio, chiuse con il riferimento alla sua grande fonte di ispirazione, Johan Cruyff, tanto che immaginai che quella difesa a tre aveva un chiaro substrato culturale-calcistico che per un catalano apertosi al mondo molto presto (Martinez si trasferisce già da giocatore in Inghilterra) non poteva che legarsi al genio che giocava col 14.

Quel periodo della sua nazionale avrebbe coinciso col suo apice, mai più ritrovato, forse anche perché quello step più mentale che tecnico nessuno dei big o forse l’intero gruppo ha mai fatto. Il Belgio si è poi sciolto poco a poco con Martinez che cercava nell’esperienza e solo qualche innesto la formula della continuità. In Qatar, dopo le figuracce contro Canada e Marocco, la gara migliore è stata quella contro la Croazia, messa sotto nettamente nel finale ma senza poi il conforto del risultato. Una chiusura mesta, forse anche ingiusta.

Ma Martinez è tornato, e se la chiamata del Belgio suonò all’epoca originale, quella di pochi giorni fa, dal Portogallo, ha sorpreso diversi addetti ai lavori. Un sondaggio di ieri del quotidiano portoghese Record ha registrato una maggioranza non favorevole alla scelta. Sicuramente, fosse arrivata nel momento in cui lo incrociavo davanti all’erbazzone, gioia culinaria tutta reggiana, il risultato sarebbe stato differente. Quando arrivò a Lisbona Felipe Scolari poteva mostrare il freschissimo titolo di campione del Mondo col Brasile, e richiamava e rinverdiva il mito di un altro tecnico straniero, lui pure proveniente dal Pais do Futebol, Otto Gloria, selezionatore che portò il Portogallo fino alla semifinale al Mondiale del 1966, per arrendersi alla miglior partita di sempre di Bobby Charlton.

L’eco del Qatar è ancora assordante, ma ad oggi il Portogallo non credo possa permettersi un nome migliore di Roberto Martinez, o almeno i due candidati in cima alla lista di Fernando Gomes, presidente della federazione lusitana, per motivi diversi erano irraggiungibili: Luis Enrique, che ha appena abbandonato la guida della Spagna, e Abel Ferreira, attuale tecnico del Palmeiras, con già all’attivo due Coppe Libertadores e il Brasileirao, stravinto l’anno scorso. L’altro nome, sponsorizzato dall’interno della federazione era quello di Rui Jorge, tecnico dell’under 21, ma sarebbe suonato troppo debole in uno spogliatoio con così grande personalità e con l’affaire Ronaldo comunque ancora da gestire: CR7 non ha nessuna intenzione di rinunciare alla Nazionale, almeno così ha fatto sapere. Un potere di condizionamento, quello di Cristiano che probabilmente avrebbe toccato anche altri nomi di giovani tecnici portoghesi, usciti in questi giorni. In quanto alle sollecitazione mediatiche di Mourinho e Paulo Sousa pare siano state supposizioni archiviate molto presto, e Gomes ha ufficialmente ribadito che “l’unico allenatore contattato è stato Roberto.”
Al suo fianco, proprio nella conferenza di presentazione di due giorni fa, Martinez, che ha firmato fino al prossimo Mondiale, ha promesso di imparare presto il portoghese e soprattutto che il suo irrinunciabile obiettivo sarà quello di “volare alto”, quindi di rimanere ambizioso, come naturale sia una nazionale che possiede quello straordinario

Il Portogallo viene da un lungo periodo con lo stesso selezionatore ( Fernando Santos è stato elogiato dall’ex CT del Belgio) e, naturalmente, si era creata una zona di comfort. Stabilire un rapporto stretto coi giocatori è la prima base per poi impiantare un'idea di calcio condivisa. È necessario un modello che faccia risaltare le potenti individualità e che dia risposte tattiche nei momenti importanti. Roberto Martinez ha un compito arduo ma anche grandi capacità. Non è detto che, proprio perché arriva da fuori, non presenti anche elementi nuovi e proposte originali. Allargare gli orizzonti, pensare in grande, anzi al top, perché il Portogallo mira ad arrivare davanti a tutti.

Il calcio si gioca con la testa, in fondo. Lo diceva Johan, uno che ha insegnato a volare a tanti.

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