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Le 48 ore della SuperLega: le domande aperte

di Luca Marchetti
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© foto di Federico De Luca

Le considerazioni sulla scomparsa della SuperLega avranno delle lunghe ripercussioni. Il perché è piuttosto evidente: quando profili lo strappo più importante mai esistito nella storia del calcio e dopo 48 ore si autodistrugge aleggiano delle domande a cui, prima o poi, bisognerà trovare una risposta.
La prima e la più difficile è: su quali basi si basava questa proposta, anzi questa rivoluzione. I 12 erano pronti a staccarsi, a creare un club esclusivo. La reazione - veemente - da buona parte del mondo del calcio non poteva non essere messa in preventivo, nel minimo dettaglio. Quindi sebbene le spinte da parte dell’opinione pubblica, della politica, dell’economia, dell’etica non possono aver da sole fatto cadere il castello. Altrimenti saremmo di fronte all’improvvisazione. Al netto dei tanti interrogativi che ci saremmo potuti porre sulla formula proposta ora l’interrogazione è sui tempi, sui modi. Presentato non come un’opportunità, non come un dialogo, non come un modo (anche disperato) di avere una necessità stringente. Ma come un’imposizione: che 48 ore dopo non si è rilevata tale. Rimane lo sconcerto di vedere 12 fra le 15/20 società più importanti e ricche del mondo, trovarsi in mano con delle scuse postume, tentativi di retromarcia maldestri e una serie di problemi diplomatici tanto gravi quanto quelli del bilancio. La credibilità dei personaggi coinvolti ora è sottoterra. E sarà difficile risollevarla. Tutti si ricorderanno dei due giorni della SuperLega e tutti si ricorderanno delle 12 squadre promotrici, di chi si è esposto in maniera maggiore. Da Florentino Perez (e il suo scontro con Tebas, l’ennesimo) a Andrea Agnelli e il suo scontro (anche personale) con Ceferin (il primo).
In molti pensavano che dalla scorsa domenica sera era iniziata semplicemente una fase muscolare, anche eccessiva se volete, dettata dall’urgenza e dalla necessità. Un enorme braccio di ferro fra i 12 e Uefa e Fifa (poi chiaramente supportate da tifosi e governi). Per poi magari cominciare a far lavorare le diplomazie, cercando di mantenere il più possibile una posizione di forza. Era una situazione lost/lost: tutti (se avessero continuato) avrebbero perso. Per questo era inevitabile trovare una soluzione, ma non sarebbe stato né semplice, né scontato. Nessuno pensava che in 48 ore si fosse disintegrato tutto. Anche se questo non deve far pensare che abbia “vinto” la Uefa. La sostenibilità del calcio deve essere discussa.
Sin dall’inizio era un problema economico.

Parliamoci chiaro anche da parte delle istituzioni calcistiche: che di facciata (giustamente) hanno messo il principio di merito, del sogno, e hanno puntato il dito sull’avidità. Ma che sarebbero state private della locomotiva del movimento calcistico. La guerra non è stata scatenata da loro, ma le richieste arrivate nel corso degli ultimi anni per riformare almeno in parte il calcio (meno squadre professionistiche, meno gare in un anno, redistribuzione delle risorse) non sono state prese in considerazione nei tempi considerati giusti dai big.
E qui torniamo ad un altro discorso: la necessità. Il Covid ha certamente devastato i bilanci delle società. Che però già prima del Covid erano problematici, eccome. Le grandi squadre hanno aumentato a dismisura i loro ricavi: grazie al commercial, alla vendita dei diritti televisivi. Ma hanno speso. Spesso più di quanto fosse supportabile. Si sono indebitate, ogni anno di più. Sono pochissime le società che sono gestite in maniera equilibrata. La volontà di vincere, di rimanere competitivi, di crescere, di attaccare quello più forte di te ha portato un disequilibrio difficilmente sanabile. E - sinceramente - l’unica soluzione non è la SuperLega. Non basta la SuperLega. Serve una soluzione congiunta. E questo è innegabile, quanto ineluttabile. Bisognerà farlo, anche (e soprattutto) senza SuperLega. E qui scatta un’altra domanda: se i migliori manager e imprenditori delle migliori squadre del mondo hanno trovato questa soluzione, naufragata nel giro di 48 ore, come sarà possibile trovare davvero una via d’uscita? Una via condivisa, una via “illuminata”?
Ora non si pensi che sia finito. Le riforme sono necessarie. Profonde, repentine. E il fatto che la SuperLega non esista più non significa che non esistano più i problemi. Ma non vanno affrontati né con superficialità, né con arroganza. Neanche facendo melina. Necessario trovare comunque una sintesi, altrimenti davvero il mondo del calcio rischia il default (anche se non solo per colpa del Covid).

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