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La qualificazione all’Europeo e la dispersione del talento. L’Italia ridiventi un Paese produttore di calcio. E la FIGC faccia il suo

di Carlo Pizzigoni
Giornalista, scrittore, autore. Quattro libri, tanti viaggi. Tutti di Calcio. Su Twitter è @pizzigo. Su Twitch con @lafieradelcalcio
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Il triplice fischio di Gil Manzano regala un minimo di sollievo alla nazionale italiana: siamo agli Europei. Quello che dovrebbe essere un normalissimo passaggio della storia del nostro calcio, siamo riusciti a farlo diventare un evento. Il presidente della Federcalcio Gravina che nervosamente camminava sugli spalti con la paura di bucare anche il prossimo evento continentale, ha parlato a fine partita di “ferita rimarginata”, “incantesimo rotto” e “promessa mantenuta”. C’è mancato poco parlasse pure di rinascita, con l’autoassegnazione del ruolo di uomo guida, magari, visto che l’enfasi sul CT Spalletti è stata molto forte: come a dire: Luciano lo scelto io, l’altro (quello che gli ha e ci ha dato un Europeo, con un materiale poco più che modesto) è ormai alle spalle. Propaganda, insomma: tanto che siamo ancora a discutere dei meriti o meno del CT, quando invece il grande problema è un altro. Ed è evidente ai più.

Infatti, al di là di fuochi d’artificio e di media accondiscendenti se non servizievoli, questi rimangono anni molto complicati del calcio italiano, e il movimento tutto, a cominciare dagli organi federali, speriamo ne siano davvero consapevoli, nonostante le continue sparate mediatiche alcune volte imbarazzanti. Basta guardarsi intorno, tutto il gotha calcistico europeo sta meglio di noi, in quanto a numero di convocabili. Cioè rispetto alla produzione calcistica di giocatori di alto livello, quello, appunto, a cui la Federazione e il movimento tutto, con Lega e club, dovrebbero realmente aspirare.

Le scuse, come si dice, stanno a zero. Tutto il gotha calcistico continentale è avanti a noi, addirittura Portogallo, dieci milioni di abitanti, ci è notevolmente superiore, tanto che insieme alla Francia è il favorito principale del torneo. Eppure, non è che nel campionato lusitano non abbondino stranieri, scusa spesso spesa come alibi nella formazione di giovani calciatori. L’Italia rimane un Paese profondamente calciofilo ed è impossibile che non produca un numero maggiore di calciatori di alto livello, di più: è inaccettabile che si prendano continuamente scuse da parte di federazione e club, respingendo le accuse su chi dovrebbe realmente promuovere il prodotto nazionale. Le squadre, è vero, rispondo alle esigenze dei tifosi, che chiedono trofei ed emozioni: non posso loro essere ritenute responsabili della dispersione di talento. La Federazione, specie nei suoi ruoli apicali, deve stimolare la ricerca di giocatori di talento, magari anche promuovendo stages regionali o iniziative del genere. Ne va del nostro futuro, così come la Lega deve essere al fianco degli organi nazionali per celebrare il prodotto italiano. Così come i media principali: è fondamentale battere su questo tasto, evidenziare le mancanze del nostro movimento, come per esempio ieri ha sottolineato Arrigo Sacchi sulla Gazzetta, il mister che ha modificato la percezione del nostro calcio nel mondo: "occorre investire sui giovani”, ha ribadito l’ex tecnico del Milan più bello di sempre. Nel nostro Paese la dispersione di talento è clamorosa. Troppi ragazzi non fanno il grande salto a livello mentale e forse fisico quando devono introdursi nel calcio professionistico. Si perdono, spesso, in leghe minori che in pochi osservano e che molti non considerano realmente formativi. Abbandoniamo i nostri ragazzi talvolta in prestiti senza senso o alla mercé di procuratori senza scrupoli che poco sanno di calcio.

E’ responsabilità di tutti gli attori protagonisti, anche dei media, che tra giornali e tv fanno fatica a celebrare la crescita: vinci sei un grande, perde sei un fesso. Ma i ragazzi non si formano così. I ragazzi devono potere entrare in campo fare benissimo, poi attraversare un momento buio poi risorgere, prendere gli elogi di un campo e poi due partite di insulti dal collega di reparto. Devono crescere, come uomini e come tecnici. E tutti i responsabili della formazione, devono fare la loro parte. Siamo troppo indietro rispetto alle élite, quindi c’è davvero poco da festeggiare per la conquista all’Europeo, peraltro con un perimetro di rappresentanti così largo.

L’Italia non è che non deve esserci, l’Italia deve primeggiare. Formazione, studio, meritocrazia: vale per i giocatori ma pure per i dirigenti. Investiamo in idee, diamo spazio a chi ha pensieri nuovi, profondi, degni, rispettosi. E calcistici. Basta fare politica, tra CONI e governo, torniamo a parlare e a investire sul calcio. Un Paese come il nostro merita calcisticamente di tornare ad emozionarsi, Lo dice la storia, testimoniata da quattro stelle sul petto. Torniamo ad essere degno di tanta luce. Spalletti farà certamente il suo, anche gli altri facciano il loro. Siate, siamo all’altezza della maglia azzurra.

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