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Juve, uno scudetto che fa numero. Conte, non hai fallito; hai deluso. Di Biagio, l’errore più grande. Kargbo, esempio per tanti “pariolini del pallone”

di Michele Criscitiello
Direttore di Sportitalia e Tuttomercatoweb
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Far passare in secondo piano il primo scudetto di Sarri in carriera sarebbe ingeneroso. E’ il coronamento di una grande ascesa, certificata già dal cambio di vita con botte di milioni di euro sul conto corrente. Sarri, però, è quello che ce l’ha fatta ed è per questo che gode di molta simpatia. Forse, da Napoli in poi, un po' si è imborghesito ma non lo sappiamo perché giudicare è troppo facile senza conoscere le persone. Sicuramente il toscanaccio antipatico agli snob ha ragione su un punto: tutti dicono che non ho vinto nulla ma nelle categorie minori ho vinto tutto. E vincere, su quei campi, non è assolutamente roba da poco. Anzi. Negli ultimi 12 mesi, il Signor nessuno ha vinto una Europa League a Londra e uno scudetto a Torino. Sarri era stato preso per lo spettacolo perché a vincere erano già abituati alla Juventus. Rimproveravano a questa squadra che vincesse senza giocare bene. Mancavano caviale e champagne. Sarri ha portato, di fatto, le stesse pietanze dell’altro chef toscano, Allegri. La vittoria. In alcuni casi, però, con pasta scotta e insipida. Sarri come Allegri: vince ma non illumina; almeno al primo anno. Adesso c’è la Champions League che potrebbe far cambiare opinione e ragionamenti sul primo anno in bianconero dell’ex “core de Napoli”. Ha ragione Sarri quando dice che questo è stato il campionato più difficile di sempre. Non per le antagoniste, non a livello tattico, ma sicuramente è stato complicato a livello fisico ed organizzativo e in questi casi il rischio sorpresa è sempre dietro l’angolo. Siamo tutti d’accordo che non è stata fatta la squadra in base alle caratteristiche dell’allenatore e siamo d’accordo anche che quest’anno la Juventus non ha divertito. Troppe sconfitte, troppe rimonte, troppi gol presi, poco spettacolo e soprattutto due coppe perse con squadre inferiori (sulla carta) come Lazio e Napoli. Mettere in discussione l’allenatore è roba folle. Lo fa la critica, naturalmente, non la società.
Stesso discorso vale per Antonio Conte. Il tecnico dell’Inter dice cose giuste (e meno giuste), ma fa bene a rimarcare che spesso sono critiche distruttive che accompagnano i ragionamenti sull’Inter. Qui, però, arriviamo ai complimenti. Conte non ha assolutamente fallito al primo anno di Inter. Conte ha deluso perché in lui, stampa e tifosi, vedono il mago che lo stesso Conte dice di non essere. Arriva Conte e porta punti e coppe. I trofei al primo colpo. Questi sono attestati di stima indiretti più che critiche. In campionato ha perso troppi punti, certo, ma quello che doveva fare l’Inter l’ha fatto. Su questo tema Conte ha ragione. Ha torto, e tanto, quando non rimarca che in estate e in inverno gli sono stati presi calciatori forti. Oggi pretende di fare lui il mercato, però, nelle grandi società il mercato lo fanno i dirigenti e non gli allenatori. Conte ha fallito, fuori dalla serie A. In Champions è stato un flop, la Coppa Italia è stata un flop ed è per questo che l’Europa League bisognerà provare a vincerla. Il futuro è roseo ma l’allenatore leccese deve evitare di farsi terra bruciata intorno. Ha bisogno dell’appoggio di tutti per riportare l’Inter dove meriterebbe. Se Lukaku ha spaccato quest’anno, però, il merito è di Don Antonio. Lui l’ha voluto e lui l’ha fatto rendere al 100%. Pessima la gestione di Esposito, ottimo il rilancio sul finale di Sanchez. Siccome non ci interessano solo le grandi, se la Roma resta un punto di domanda, la Lazio merita applausi e De Laurentiis si mangia le mani per aver buttato la prima parte di stagione con Ancelotti, in basso alla classifica è arrivato il momento dei giudizi finali. Ci fa piacere che Cellino abbia, almeno, ammesso le sue responsabilità nel fallimento del Brescia. La retrocessione porta solo il suo nome. Una gestione, durante l’anno, scellerata.

Si sarebbe dovuto continuare sempre e solo con Corini e non si sarebbe dovuto prendere mai e poi mai Balotelli. Si sarebbe dovuto puntare solo su Donnarumma, il quale avrebbe fatto quello che Caputo ha fatto a Sassuolo, se solo avesse avuto la totale fiducia della società. Brescia e Spal sono state l’anti-calcio. Peccato perché a Ferrara avevano fatto grandi cose negli ultimi anni. Si è capito che qualcuno, da quelle parti, si era montato la testa con l’esonero di Semplici. Con o senza l’allenatore saresti retrocesso e se avevi il 10% di possibilità di salvezza, allora era grazie a Semplici. Follia aver liberato Vagnati in piena pandemia (bravo Cairo ad anticipare tutti sullo scatto), tripla follia prendere Di Biagio, il quale non ha mai allenato un club, e farlo partire dalla serie A in una squadra piena di problemi. Di Biagio ha accettato perché, ovviamente, era l’unico treno che passava da quella stazione dopo il flop con l’Under 21. Di Biagio alla Spal non ha portato nulla se non confusione e poche idee. La squadra è crollata e molto presto non l’ha più seguito.
La settimana che ci siamo lasciati alle spalle ha segnato il trionfo del Crotone che torna in serie A (società competente) e il ritorno in serie B dopo 21 anni della Reggiana. Dalla D alla C e dalla C alla B in 12 mesi. Capolavoro assoluto! A De Laurentiis sono indigeste le finali play off in serie C. Ne ha persa una con il Napoli, ad Avellino, al suo primo anno di presidenza e ne ha persa un’altra con il Bari. Quando spende non raccoglie. Quando inventa fa grandi campionati. Il Bari ha buttato tanti punti all’inizio con il grande errore di confermare Cornacchini in panchina. Un suicidio annunciato. In serie B ci va la Reggiana, in questo caso premiata la competenza, con un attacco composto da due ragazzi che arrivano dalla serie D: Zamparo e Kargbo, anche se in annate diverse ma comunque recenti. Zamparo lo conosciamo dopo il boom di Borgosesia con Dionisi in panchina, attuale allenatore del Venezia. Kargbo lo conoscevano solo a Crotone, adesso lo conosce anche il portiere dell’Hotel delle Nazioni di Bari. Un ’99 strepitoso. Carattere, velocità, fiuto del gol, attacca la profondità in maniera impeccabile e ha l’umiltà di chi arriva dalla D fatta a Campobasso e Roccella. Ha giocato sulle pietre e in stadi che definire tali è un lusso. Un esempio per molti under che escono dalle primavere o che arrivano dalla serie C che con la puzza sotto il naso si rifiutano di fare la serie D. Kargbo è l’esempio di come e quanto serva giocare in D. Per fare esperienza e per mettersi in vetrina. Tanti ragazzi, troppi, consigliati male dagli interessi dei procuratori. Ragazzi che dovrebbero giocare e che preferiscono fare le Primavera fuori età o fare gli allenamenti con la prima squadra in C o B senza vedere mai il campo la domenica. “In D? No, non scendo”. Ed è lì che inizia la discesa del ragazzo che non gioca e perde i suoi anni migliori. Kargbo non ha parlato. Kargbo ha fatto gol e fatti per arrivare dov’è. Molti italiani, i nostri giovani, credono di essere più intelligenti degli africani e invece questa è la dimostrazione che il classismo non può esistere nel calcio. Kargbo non ha avuto genitori ossessivi che cercano nei figli il riscatto sociale e non ha avuto procuratori invadenti che pensano ai mille euro di commissione ad inizio anno. Kargbo ha avuto fame. Quella che i giovani italiani non hanno, ritrovandosi a chiudere le proprie carriere a 21-22-23 anni. Ditemi quanti ragazzi, 3-4 anni fa, venivano considerati dei prodigi e oggi hanno smesso di giocare. Parliamo di ragazzi del 94-95-96-97-98…. si accettano scommesse. Un numero esagerato. La colpa viene date alle nuove regole, in parte è vero, ma la responsabilità è anche personale. W Kargbo! Il signor nessuno che impartisce lezioni ai pariolini del calcio.

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