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Inter, Barella stratosferico: gruppo totale. Milan: il tafazzismo di Pioli. Juve: la vera mancanza di Allegri. Bologna: l’unico vero indispensabile tra i rossoblu. Roma: il futuro della panchina. E un saluto a un uomo buono

di Fabrizio Biasin
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Ben ritrovati col compendio settimanale.

Il compendio settimanale parte con i complimenti ai tifosi del Cittadella che da un paio di trasferte, prima di lasciare il loro settore di competenza, puliscono gli spalti. Se pensate “e vabbè, sticazzi”, banalmente, pensate male. Siccome dei tifosi si scrive quasi unicamente per raccontare porcherie, è giusto parlarne anche quando i diretti interessati si dimostrano “avanti”. “Dovrebbe essere la normalità”, dice il precisino, ma io ti vedo precisino mentre abbandoni il tuo sacchetto di patatine untissime sotto la poltrona del cinema. E quindi muto, precisino, e viva i tifosi del Citta.

Il compendio continua con una predicozza che ve la raccomando indirizzata a Stefano Pioli, tecnico autolesionista. Se leggete le minchiate che scrive settimanalmente il qui presente ben sapete che siamo da sempre sul carro del tecnico di Parma. Proprio per questo ci pare giusto punzecchiarlo rispetto all’atto tafazziano compiuto l’altra sera a Monza. Le giustificazioni sul turnover (“Tizio non stava bene, Caio pure”) lasciano il tempo che trovano nel momento in cui Tizio e Caio entrano in campo nel secondo tempo. L’11 rossonero proposto in Brianza ha banalmente invitato i ragazzi di Palladino a provarci e loro, gli avversari, non aspettavano altro che inzuppare il biscotto nella tazza di un Milan privato contemporaneamente di Leao, Giroud e Pulisic, ovvero tre dei cinque giocatori più forti della rosa.
Ben sappiamo che parlare a partita finita è semplice, ma è anche per questo motivo che ci pagano una miseria. E allora insistiamo: il turnover perfetto non è quello che ti porta a inserire i titolari a risultato ancora in bilico o quasi compromesso, ma quello che ti permette di levarli serenamente a missione indirizzata. Pioli da questo punto di vista è recidivo e, quindi, tafazziano.

Il compendio settimanale prosegue con una piccola precisazione rispetto a un concetto che il qui presente ha provato a esprimere - fallendo piuttosto clamorosamente - domenica sera a Pressing e che in maniera patetica intitoleremo “i giocatori si allenano”. Cioè, al netto dei risultati e delle classifiche, come si può negare che la grandezza di un tecnico risieda nella capacità di far rendere al massimo i suoi uomini? Questa cosa nell’Inter di Inzaghi è piuttosto visibile (i giocatori sono forti ma, addirittura, a tratti riescono a rendere oltre il loro valore), mentre non si può dire la stessa cosa dei ragazzi a disposizione di Allegri che, anzi, a più riprese sono già stati condannati (“cosa ci vuoi fare, i bianconeri valgono quello che valgono…”).
Allegri è stato bravissimo a portare i punti in classifica ed è già moltissimo, sia chiaro, ma quanto a valorizzazione dei singoli - parere personalissimo, per carità - può e deve fare parecchio di più, soprattutto dal punto di vista dell’impostazione di gioco quando si tratta di “fare” la partita. E questo anche solo per levarli da quella condizione imbarazzante e ingiusta di pupazzetti che ad ogni non-vittoria vengono bollati come “mediocri”, “inesperti”, “poco adatti”, “limitati” e così via. Balle, i giocatori della Juve sono freschi, capaci, potenzialmente fortissimi, basterebbe farli crescere in una direzione che non sia solo “guardiamoci le spalle”.

Il compendio non può non parlare di Bologna, ma mica di Zirkzee e Thiago Motta (che gli vuoi dire, son delle belve) e neppure di Ferguson o Calafiori (uh, quanto è forte lo scozzese), ma di uno che di nome fa Giovanni e di cognome Sartori: nessuno praticamente sa che faccia abbia, non ha mai scaricato Whatsapp sul telefono e, in più, ha il grande merito di non parlare con i giornalisti. Costui è stato stratega al Chievo, poi all’Atalanta e ora è la massima garanzia per i tifosi rossoblu: l’eventuale ma possibile partenza di questo o quel campioncino, finché questo signore resterà al suo posto, non sarà mai un problema. Non lo dice il qui presente pelato, lo dice la storia recente del calcio.

Il compendio ha necessità di provvedere al “mea culpa”. Francamente non pensavo che mister Daniele De Rossi potesse fare granché nell’immediato presente e, invece, in un solo mese alla Roma ha portato idee, serenità e, soprattutto, punti. E tutto questo togliendo ogni genere di alibi ai suoi giocatori, cosa affatto banale. Ecco, diventa sempre più probabile che la prossima estate in Serie A resti a disposizione dei tecnici a spasso una panca in meno rispetto al previsto, con buona pace dei tanti affamatissimi pretendenti al trono.

Il compendio si chiude con due parole su un gigante del calcio, Andreas “Andy” Brehme, scomparso a 63 anni. Chi ha le rughe ben sa di chi stiamo parlando, ché il panzer era bello da vedere, forte, tecnico, ambidestro come solo pochissimi e, soprattutto, non si è mai sentito “stocazzo”. E perdonateci il francese, ma non esiste termine migliore per definire questo enorme calciatore che, anche e soprattutto, era un uomo buono.

Ah, tre tweet sull’Inter vista ieri:

- Doveva segnare lui!!!

Alé Marko!!!

- Coraggio, cuore, pazienza, attributi:

la partita più difficile dell’anno, vinta stra-meritatamente.

Questo gruppo merita una marea di applausi, ogni giorno di più.

Bravi ragazzi.

- La differenza tra i bravi giocatori e i campioni si vede in serate come questa.

#Barella semplicemente stratosferico.

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