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Il talento salvato di Federico Dimarco, orgoglio (nero)azzurro. Una eccezione italiana che deve diventare regola

di Carlo Pizzigoni
Giornalista, scrittore, autore. Quattro libri, tanti viaggi. Tutti di Calcio. Su Twitter è @pizzigo. Su Twitch con @lafieradelcalcio
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“Ogni gol nell’Inter di Federico Dimarco è più di un gol, è puro orgoglio nerazzurro”. Tenendo fede all’arte del relato rioplatense, passionale e barocca, la giornalista argentina Micaela Acevedo che lavora per Inter Tv, ha commentato così la rete che ha indirizzato la finale di Supercoppa italiana vinta dalla squadra guidata da Simone Inzaghi. L’enfatizzazione nasce dalla volontà di celebrare una rete di un calciatore che con quella maglia ha passato una vita. Sono lui e Federico Bonazzoli i selezionati di quel gruppo di ragazzi che entreranno nei pulcini dell’Inter, classe 1997, sotto la sapiente visione di quello che è ancora oggi il responsabile dell’Attività di Base nerazzurra, Giuliano Rusca, uno dei migliori “formatori” di calciatori d’Italia. Milanese, primi calci a Calvairate, quartiere oltre la circonvallazione esterna, di là da viale Umbria, Dimarco, una vita di distinte col cognome staccato, ha sempre stupito per il suo mancino. Potenza e precisione. Ma anche corsa e controllo.
Ricordo al Memorial Scirea di Cinisello, tra i più importanti tornei under 14 d’Italia, dove mise una serie di cross dopo inserimenti e giocate in corse davvero impattanti: su uno di questi interviene Loris Zonta e inizia anche lì, come a Riad, una finale senza storia, in quel caso contro la Juventus. Zonta, oggi a Vicenza, appena arrivato in nerazzurro viene eletto miglior giocatore del torneo, anche se sul campo quel premio lo meritava, forse come a Riad, Federico.
Dalla categoria giovanissimi a quella di allievo e poi in Primavera, sempre sotto età (gioca quasi sempre con i ‘96) sempre decisivo, anche in azzurro: memorabile l’Europeo del 2016 in Germania, con l’Italia che arriva fino all’ingiocabile finale contro la Francia di Kylian Mbappé, trascinata da Dima, come lo chiamano ancora adesso tutti: segna 4 dei 5 gol, tutti da calcio piazzato, che in tutta la manifestazione i ragazzi italiani realizzano (l’altro è del già promettente Manuel Locatelli).

Nazionale e Inter, da predestinato, insomma. Arriva anche l’esordio con la prima squadra, comandata all’epoca da Roberto Mancini, che oggi ne ha fatto un giocatore importante anche in questa seconda rinascita del calcio azzurro. Il Mancio intravede nel ritiro pre-campionato un potenziale importante anche come giocatore dentro il campo: siamo lontani dai terzini rivoluzionari di Pep Guardiola, ma il tecnico vede già oltre. Per mettere minuti nelle gambe e giocare con continuità Dimarco si trasferisce in provincia. È il passaggio più delicato per ogni nostro giocatore, specie quando esce da settori giovanili di qualche big. Non c’è spesso molta attenzione da parte del club cedente, è un po’ un lancio in mezzo all’oceano: se impari a nuotare e rimani a galla puoi farcela ad arrivare a riva. È questa una delle concause per cui tanti ragazzi italiani perdono fiducia dopo anni di promettenti giovanili e finiscono per accontentarsi di fare i professionisti, senza ambizione alcuna. In quel buco nero fortunatamente non cade Dimarco, anche se il rischio è dietro l’angolo. Primo prestito ad Ascoli, poi qualche minuto in più ad Empoli. Tramezzani, altro terzino sinistro cresciuto in nerazzurro, diventato poi allenatore, fattore nell’Albania di De Biasi, prende panchina a Sion e invita Dima in Svizzera. Siamo vicino al precipizio, ma Federico non si arrende, quel sinistro meritano platee di grande livello, quella che ha sempre sognato da piccolo, il Meazza. Segna un gol memorabile, ma è contro l’Inter, vestendo la maglia del Parma. Qualcuno storce il naso per l’esultanza: il giorno dopo va a vedere il fratello Christian (2002 oggi alla Feralpisalo) a Interello, e qualcuno glielo fa notare. Evidentemente non sa quello che ha passato Dimarco in questi anni: in quell’esultanza c’era probabilmente la certezza di essere tornato, di aver evitato lo strapiombo.

L’uomo però che lo fa definitivamente sterzare è Ivan Juric, nell’ennesimo prestito, col cartellino che torna totalmente nelle mani dell’Inter. All’Hellas il tecnico croato gli entra sottopelle e gli tira fuori la convinzione necessaria per sfruttare le qualità che ha sempre avuto, fin dal primo provino in nerazzurro: qualità e tecnica. Juric lo prova anche da braccetto della difesa a tre, e nell’interpretazione, magica, di Dimarco c’è quel sentore di Mancini che vedeva già le conduzioni dentro al campo. Finalmente, poi, arriva l’Inter, e con Inzaghi parte da braccetto per poi imporsi da quinto, dove raggiunge la nazionale. L’apoteosi è la notte di Riad, c’è il festeggiamento smodato prima in campo e poi sui social, e finalmente è con la maglia che fin da bambino aveva addosso, sentiva dentro. Nella stessa serata in una partita di FA Cup, con la maglia del Leeds segna una doppietta Willy Gnonto, altro passato dai sapienti consigli di Giuliano Rusca e dal settore giovanile dell’Inter. Uno che con la volontà e la caparbietà ha voluto evitare quel burrone dove sono caduti tanti talenti italiani: per evitarlo è passato dalla Svizzera, da Zurigo, e grazie, ancora una volta alla scommessa di Roberto Mancini, uno che torna spesso in questa storia, eccolo in Premier League. Willy è un 2003, vive coi sogni di tanti ragazzi italiani che meritano la nostra attenzione e la cura del nostro movimento. Ha i sogni di Federico Dimarco, sperando che i prossimi gol di questi giovani saranno davvero e per molti anni, vero orgoglio azzurro.

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