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Calcio al tracollo se non finisce il campionato. Un buco da 700 milioni. E il mercato sarà al ribasso, calmierati i prezzi dei giocatori. Ma il governo non deve intervenire. Tagliate gli stipendi

di Enzo Bucchioni
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© foto di Federico De Luca

Stiamo vivendo un dramma epocale e forse parlare di pallone diventa riduttivo. Ma dentro il Dramma principale con la D maiuscola, ci sono altri drammi annessi e connessi, con gradualità e importanza diversi (ovvio), e il dramma del calcio è uno di questi. Un dramma economico vero che rischia di far saltare in aria il pallone come un castello costruito sulla sabbia.

Vi siete chiesti come mai il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina da alcuni giorni stia parlando a destra e a sinistra, praticamente ovunque? Fra televisioni e radio è un battage mediatico senza precedenti. Perché?

Semplice. Gravina sta annunciando date più o meno ipotetiche per la ripresa del campionato, sta dicendo a tutti che si tornerà a giocare dall’inizio del mese di maggio soltanto per rassicurare. E, attenzione, non lo fa certamente per i tifosi, ma per le Tv a pagamento (soprattutto), per gli sponsor e per tutte le altre attività economiche che sorreggono e ruotano attorno al calcio. Ma anche per il Governo.

Infatti, se non dovesse concludersi il campionato, la parola fallimento sarebbe autorizzata a entrare nel mondo del calcio con il rischio di diventare realtà per diverse società professionistiche, anche di serie A.

Speriamo con tutto il cuore, per la grande passione di tutti noi, ma soprattutto per la salute comune, che la situazione si risolva prima possibile, che il contagio venga circoscritto e il virus debellato, ma se ciò non dovesse essere in tempi brevi, se il calcio non dovesse riuscire in qualche modo a finire la stagione, visto che mancano ancora dodici giornate (un terzo del torneo) verrebbero a mancare dalle casse delle società circa 430 milioni per i diritti televisioni e altri trecento milioni circa fra sponsorizzazioni, diritti delle coppe, incassi al botteghino e altri introiti vari. Una somma enorme, pari a 730 milioni.

Questi soldi servono a mandare avanti un Carrozzone che da anni vive come legato a cordone ombelicale chiamato Diritti Televisivi. Senza questi soldi crolla tutto.

Un mondo che da anni vive al di sopra delle sue possibilità spesso mascherando le situazioni negative con plusvalenze discutibili, verrebbe messo pesantemente a nudo. Contratti faraonici a giocatori, allenatori e dirigenti, una costante disattenzione ai costi, senza i preventivati ritorni, renderebbero in breve la situazione ingestibile per molte società.

Che fare, oltre a sperare nella fine del contagio?

A questo punto è difficile, il calcio non è un’azienda normale.

Intanto questa crisi economica globale, renderà impossibile rientrare anche attraverso le classiche folli cessioni nel calciomercato, come successo in passato. Le quotazioni dei giocatori subiranno un inevitabile tracollo, questa crisi comprimerà anche le capacità di spesa delle grandi e le piccole che magari pensavano di salvare i conti vendendo i giocatori migliori, andranno ancora più in difficoltà. Oltre a vedere svilito il valore del parco-atleti.

Uno scenario di guerra per tutti, ovvio, e ancora di più per il calcio che era già in difficoltà prima del Coronavirus.

Poche le entrate, come detto quasi tutte derivate dai diritti tv, e spese folli era tornato ad essere un trend generale. Il ritorno alla realtà ora è brusco e sicuramente inatteso, ma la situazione rischia di scappare di mano.

Una pezza potrà essere messa soltanto chiudendo in qualche modo la stagione, magari a porte chiuse, e cercando di incassare almeno la quota restante dai diritti tv.

Un’altra manovra da fare è la riduzione dei costi e i costi del calcio sono legati agli stipendi. Si può tagliare?

Non solo si può, ma si dovrebbe. Un taglio di almeno il trenta per cento degli stipendi non affamerebbe di sicuro nessuno. Il tema è complesso, i contratti e le normative legate a interpretazione, ma questa può essere una strada.

Tutte le attività e tutti i soggetti operanti in attività economiche in difficoltà sono da sempre chiamati a contribuire. Nella società civile chiamasi “contratto di solidarietà” e se una normativa del genere dovesse essere introdotta nel calcio non ci sarebbe niente di strano.

Non pensino i Signori dl Pallone, di battere cassa allo stato come nel passato. Sarebbe assolutamente immorale per i tempi che stiamo vivendo, il Paese ha altre priorità e un mondo dorato come quello del calcio non può allungare la mano dopo aver sperperato per anni. Sarebbe inaccettabile.

E nel governo nessuno è autorizzato a pensare una roba del genere quando mancano gli ospedali e le attrezzature mediche primarie. Al massimo il calcio potrà essere aiutato ripristinando la pubblicità delle società di scommesse. Stop.

Altri aiuti, veri o mascherati, potrebbero far scoppiare un caso pesante all’interno della società civile ed è bene dirlo subito come hanno già fatto personalità politiche di vari raggruppamenti.

Non è certo una situazione simile al 2002 quando Berlusconi fece il “decreto spalma-debiti” e salvò il calcio. Per altro fra le polemiche anche allora.

Quella lezione non è servita e per gente che per anni e anni ha visto transitare valanghe di soldi nelle casse e li ha gestiti male, oggi non può esistere la solidarietà sociale.

La speranza è che questa situazione drammatica faccia riflettere tutti, che si prenda atto di situazioni economiche al di fuori dalla realtà che andranno necessariamente riviste. E la gestione dovrà cambiare profondamente, il business per il business, senza basi economiche salde, non regge più. E non si può più tirare fuori neanche il solito ritornello, che il calcio è talmente radicato, fa parte della nostra vita e della nostra cultura, è un elemento troppo popolare, qualcuno ci penserà. Questa volta non ci penserà nessuno perché c’è da pensare alla vita di tutti noi. Il calcio questa volta dovrà salvarsi da solo.

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