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ESCLUSIVA TMW - Portillo: "Al Rayo la mia nuova vita da dirigente. Firenze bella, ma trovai poco spazio"

di Gaetano Mocciaro
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739 reti nelle giovanili del Real Madrid, nessuno come Javier Portillo, ragazzo terribile della cantera dei blancos a cavallo tra gli anni '90 e i primi del 2000. L'esordio a 19 anni nella squadra dei Galacticos che seguiva la filosofia dei Zidanes y Pavones. Una carriera poi proseguita lontano dalla capitale spagnola, girando anche all'estero e facendo una breve tappa nella nostra Serie A, a Firenze. Dopo un lungo giro oggi Portillo è tornato a Madrid, ma in altre vesti e in un altro club. Appese le scarpe al chiodo a soli 33 anni ha immediatamente intrapreso la carriera dirigenziale e oggi, a 39 e dopo essersi fatto le ossa in terza divisione, lavora per il Rayo Vallecano. Ai microfoni di Tuttomercatoweb l'ex attaccante ci racconta il suo percorso:

Cosa fa oggi Javier Portillo?
"Sono stato direttore sportivo dell'Hércules, club di Alicante che ha militato in Segunda B (l'equivalente della nostra Serie C, ndr). Abbiamo raggiunto due finali dei playoff per salire di categoria, poi perse contro Ponferradina e Cadice. Ho deciso poi di lasciare l'incarico e nel frattempo è arrivata la pandemia di Covid. In quel periodo mi aggiornavo guardando i campionati stranieri, come la Serie A, ma anche il campionato inglese, francese, portoghese e belga. Fino a che non è arrivata una chiamata dal Rayo Vallecano che mi ha proposto il ruolo di segretario tecnico".

Cosa l'ha portata a scegliere un ruolo dirigenziale?
"È una cosa che mi affascina di più che allenare, anche se è ugualmente stressante. Mi piace il dover organizzare, formare la squadra".

Il Rayo che è stato costruito sta facendo molto bene. Da neopromossa vi siete già tolti delle soddisfazioni, come battere il Barcellona
"Siamo molto contenti della classifica della squadra. Il nostro obiettivo è fare i 38 e 40 punti per la permanenza ne LaLiga. Abbiamo costruito una rosa che al 60% è composta da giocatori della stagione passata. Paradossalmente devo dire che questi giocatori si stanno adattando maggiormente ne LaLiga, essendo un campionato più tecnico della Segunda Division. E questi sono i risultati".

La ciliegina sulla torta è l'acquisto di Radamel Falcao
"Veniva da un periodo in cui giocava poco. Voleva andar via e giocare di più, era stato a Madrid e gli sarebbe piaciuto tornare. Abbiamo preso la palla al volo e siamo riusciti a convincerlo della bontà del progetto Rayo. Il resto è storia, è un grande giocatore che infatti sta facendo ancora la differenza".

Sei stato formato nel Real Madrid e con i blancos hai esordito tra i professionisti. Il tuo battesimo da dirigente in Liga è al Rayo. Due mondi diversi in una stessa città: l'aristocrazia del calcio contro il club che rappresenta la parte operaia della città
"Bisogna saper spaziare su tutti i fronti e io posso dire di essermi adattato sempre. Per me il Rayo Vallecano è un club molto importante e che mi emoziona. Il Real Madrid è i miglior club al mondo e io gli sono grato per avermi educato come persona e giocatore. Sono acnora molto vicino al presidente Florentino Perez. E ricordo con piacere Vicente del Bosque: era il coordinatore delle giovanili quando io entrai a 9 anni e mi ha fatto esordire a 19 in prima squadra".

Rappresentando oggi il Rayo Vallecano come valuta il progetto Superlega?
"Per me è un tema complicato, difficile parlarne. Certamente l'80% delle persone non la vogliono".

Nella sua carriera anche una breve parentesi italiana, alla Fiorentina
"Ero contento a Firenze, una città molto bella in cui vivere. Purtroppo c'era un allenatore, Mondonico, che mi dava poco spazio. A gennaio poi il Real Madrid aveva bisogno di un attaccante in più e ha deciso di richiamarmi".

Il calcio italiano anche per Lei era troppo difensivo?
"Devo dire che a me la Serie A piace, inoltre non è vero che sia un torneo difensivo. È migliorato tanto".

Che ricordi conserva del calcio italiano?
"Ricordo una partita, ma quando ero al Real Madrid, contro il Milan in Champions League nel 2002. Ero un ragazzino, per me fu incredibile ritrovarmi contro Maldini, Costacurta, Dida. Riuscii ad avere la maglia proprio di Maldini e fu un'emozione grandiosa".

Lei si è ritirato a 33 anni. Non si è pentito di aver appeso le scarpette al chiodo troppo presto? Oggi molti giocatori stanno vivendo le migliori stagioni proprio superati i 30
"Ero all'Hércules, che era sceso in terza divisione e mi sono reso conto che per l'età che avevo non mi andava di mettermi in gioco in quella categoria. Inoltre è capitato un fatto che ha svoltato tutto, senza quasi che mi accorgessi che stavo smettendo".

Ossia?
"Il club mi ha dato l'opportunità di diventare direttore sportivo. Pertanto il passaggio dal campo alla scrivania è diventato immediato, senza lasciarmi il tempo di pensare che non avrei più giocato. Ed è stato un bene, a pensarci. Chiaramente ho fatto il mio percorso di studi alla RFEF per abilitarmi e apprendere tutto".

Dell'Hércules è anche azionista
"Sì, è vero. È un club della mia famiglia, essendo mio suocero il proprietario. Questo però non mi impedisce di poter fare esperienze altrove e col Rayo Vallecano ho la possibilità di crescere. Sono arrivato a fine 2020 e abbiamo conquistato la promozione. E speriamo di toglierci altre soddisfazioni".

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