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ESCLUSIVA TMW - Mannari: "L'immaturità e gli infortuni mi hanno frenato. Oggi insegno in Cina"

di Gaetano Mocciaro
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Verso fine anni '80 quando il grande Milan di Silvio Berlusconi era diventato realtà, si affacciava un giovane talento sul quale in molti avrebbero scommesso: Graziano Mannari del resto pur muovendo i primi passi in una squadra di fuoriclasse aveva già alcuni guizzi da far stropicciare gli occhi. Su tutti un gol capolavoro al "Santiago Bernabeu" contro il Real Madrid, dove palla al piede dribbla tutti, portiere compreso. E poi una doppietta alla Juventus, il gol alla Sampdoria nella prima Supercoppa italiana della storia. Il volto fotogenico lo ha inoltre reso protagonista come testimonial in una campagna contro la violenza negli stadi. Insomma, per molti Mannari era il futuro dei rossoneri e del calcio italiano. Non è andata esattamente così, gli infortuni ne hanno impedito l'ascesa e lo stesso Graziano, intervenuto ai nostri microfoni, ha fatto il suo mea culpa. Il mondo del pallone tuttavia non l'ha abbandonato, è la sua attività principale se pur da un'altra prospettiva. E ad altre latitudini. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo in esclusiva:

Dov'è e cosa fa oggi Graziano Mannari?
"Sono a Guangzhou da un anno, ma in passato ho anche vissuto a Chengdu e Pechino. L'azienda per la quale lavoro segue le indicazioni governative ed è associata con LaLiga. Personalmente mi occupo della formazione: insegno agli insegnanti come si fa calcio. Mi occupo anche della supervisione relativa agli altri sport. La cosa importante è lo sviluppo fisico e psicofisico dei ragazzi.Ormai sono 9 anni che sono fuori dall'Italia".

In Cina dopo grandi investimenti sembra che il calcio non sia più la priorità, almeno a livello professionistico
"Qui il calcio non è molto forte, le famiglie vogliono che i figli facciano altro. Si fa poca attività sportiva e il governo sta spingendo molto affinché si faccia qualcosa contro questa inattività".

Da quanto tempo è fuori dall'Italia?
"Ho iniziato quasi per caso, nel 2012, in Giappone: ho gestito una scuola calcio per il Milan. Da lì due anni a Singapore, poi Dubai. Dal settembre 2018 sono in Cina".

Un italiano in Cina: che vita è?
"La Cina è un mondo diverso. Un mondo in cui si vive bene, si lavora, si è al sicuro. Logico che l'Italia manca sempre ma a livello lavorativo mi trovo bene. Guangzhou è una città internazionale, per cui a livello manageriale basta l'inglese anche se per vivere serve il cinese".

Si sarebbe mai immaginato qualche anno fa di trovarsi dall'altra parte del mondo in questo ruolo?
"Se mi avessero detto 10-11 anni fa di fare questa carriera non me lo sarei mai immaginato. La vita ti offre occasioni e possibilità che ti possono aprire nuovi orizzonti. Il mio mondo resta il calcio, sebbene dal punto di vista manageriale-formativo".

Facciamo qualche passo indietro: i gol al Milan, le promesse di un nuovo campioncino del calcio italiano
"Pochi gol ma buoni, in definitiva il disegno della mia brevissima carriera. Se ero in fiducia e mi sentivo coccolato cercavo le cose impossibili. Col Real Madrid ero in panchina e il solo fatto di potermi scaldare con Baresi mi rendeva felice. Quando entro Virdis mi lancia in contropiede ma perdo troppo tempo e Buyo prende il pallone. L'azione dopo mi sono detto: 'Adesso dribblo tutti'. Lo faccio per davvero e vado in gol. Con la Juve in campionato la partita era praticamente chiusa, al punto che stavamo facendo torello. Io non toccavo palla, fino a che non decidiamo di spingere e da un traversone arrivo io in volée e segno".

Diventa anche un volto televisivo in un periodo storico in cui i calciatori iniziavano a prendere confidenza con le telecamere: testimonial di una campagna contro la violenza negli stadi
"Successe dopo un Milan-Roma in cui Franco Tancredi fu colpito da un petardo, pertanto la società voleva lanciare un messaggio forte. Fece un casting tra la Primavera, noi ragazzi dovevamo presentarci e parlare in telecamera. Alla fine hanno scelto me".

Lupetto, Speedy Gonzalez, Pier Silvio: abbondavano anche i soprannomi
"Devo dire la verità, Pier Silvio l'ho letto su Internet ma in verità nessuno mi ha mai chiamato nessuno così, figurati se si permettevano a chiamarmi come il figlio di Berlusconi. Lupo, Lupetto era da sempre il soprannome e del resto qualsiasi cosa mi dicessero in uno spogliatoio così andava bene. Ero in una squadra spettacolare, se ci ripenso: Van Basten era il top, se fosse un giocatore attuale avrebbe tutti 100 nei parametri della playstation".

La svolta, in negativo, il passaggio al Como nel 1989
"Non ero caratterialmente un Gattuso, uno che faceva le guerre in C o B. Avevo bisogno di essere coccolato, e in B e C non trovavo l'ambiente tecnico e di testa per il mio gioco. Sono tornato in Serie A col Parma, ma era l'anno dei militare e anche lì ho giocato poco. Poi sono cominciati gli infortuni".

Rimpianti?
"Ho avuto tanti infortuni, mi sono spaccato tibia e perone, avevo recuperato segnando col Real, ho vinto la Coppa dei Campioni. Guardandomi indietro quando sono andato a Como per farmi le ossa non ero pronto psicologicamente. Se avessi potuto sarei rimasto a Milano per crescere a livello di consapevolezza. Ho cominciato a girovagare con altri infortuni, con crociati vari e ho smesso prestissimo. In C facevo una partita e poi 15 giorni a recuperare. Praticamente ho smesso a 26 anni. Ma è così la vita e non ho rimpianti".

C'è nel suo curriculum anche un'esperienza in TV, a 'Quelli che il calcio' nel 'Maifredi Team'
"È stato bello. Il mio primo ri-avvicinamento al calcio in un periodo in cui avevo mollato tutto. Ci siamo ritrovati con altri ex calciatori a frequentare gli spogliatoi, sembrava essere tornati a quando avevamo 20 anni. Fu un'idea innovativa che mi ha fatto riavvicinare all'ambiente. Mi ha dato lo stimolo per ricominciare".

Anche il Milan le ha riaperto le porte
"Sarò sempre grato al Milan, una famiglia che non ti abbandona mai. Quando mi sono rivolto a loro c'erano Adriano Galliani e Filippo Galli che mi ha aperto le porte. Via Filippo Galli sono andato via anch'io, non mi ero fermato a chiedere".

Ha mai pensato a una vita senza calcio?
"Sinceramente no. Ho avuto un periodo in cui mi sono allontanato completamente perché avevo capito che non era più possibile fare qualcosa che amavo. Allora ho deciso di studiare, darmi da fare cercando di trasferire la gioia che avevo provato fino a 20 anni ai bambini prima allenando loro e poi insegnando agli insegnanti".

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