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Arrieta: "Negli USA per sfuggire alla nomea di 'Campioni'. Alleno e faccio il corriere"

di Gaetano Mocciaro
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"Campioni, il sogno" è stato il primo reality a entrare nel mondo del calcio. Un successo incredibile nella prima stagione (decisamente meno nella seconda) e giocatori elevati alla stregua delle star internazionali. Spenti i riflettori, di tutti o quasi si sono perse le tracce. Cristian Arrieta è il giocatore che dopo lo show ha avuto la carriera migliore: già calciatore professionista prima del programma, è riuscito persino a giocare in Serie B prima di raccogliere le soddisfazioni migliori negli Stati Uniti, giocando in MLS e arrivando a vestire anche la maglia della nazionale di Puerto Rico. E negli States è rimasto. Ai microfoni di Tuttomercatoweb ci racconta la sua vita:

Cristian Arrieta, sei stato fra i giocatori di Campioni quello che ha avuto la carriera migliore. Sei ancora nel mondo del calcio?
"Il calcio è stato un lavoro a tempo pieno finché mio figlio non ha compiuto due anni. Sono arrivato ad allenare fino a 4 squadre diverse. Nessun vincolo, sono un libero professionista. Più lavori più sei pagato. Ma non essendo un dipendente non mi garantivano l'assicurazione sanitaria per la famiglia. Così mi sono guardato intorno"

Di cosa ti occupi adesso?
"Negli Stati Uniti è obbligatoria l'assicurazione sanitaria. Ho due bambini piccoli e il modo migliore per far sì che tutta la famiglia fosse coperta era trovare una compagnia che mi offrisse questa copertura. Così ho deciso di lavorare per un'importante società di trasporto spedizioni, la UPS. Sono un supervisore, ma faccio quello che è necessario. Anche andare a consegnare, se è il caso. Con la situazione attuale stiamo lavorando moltissimo: siamo passati da 170 a 240 consegne al giorno. Non è facile per i corrieri di questi tempi, se devi andare in bagno poi con tutti i locali chiusi è un problema. E siamo costantemente sotto stress, a richio tutto il tempo. Ma la gente ti è grata, dai un servizio necessario".

Calcio capitolo chiuso?
"Ho dovuto sottrarre tempo perché ora il lavoro principale è un altro, ma non ho abbandonato il calcio. Attualmentea lleno alla GPS Academy, che peraltro è affiliata al Bayern e giochiamo proprio con la maglia dei bavaresi. E poi l'Abbey Villa Soccer Club".

La tua popolarità è dovuta alla tua partecipazione a Campioni. Che esperienza è stata?
"Bella ma che mi è costata tanto. Innanzitutto preciso che è stata una scelta mia di partecipare al reality. Conoscevo Ciccio Graziani quando lui allenava in C2 e io vi giocavo. E peraltro il mio compagno di squadra a Mestre era suo figlio Gabriele. Chiamai, loro avevano bisogno di un difensore con qualità e caratteristiche e mi hanno fatto entrare. Esperienza bellissima, che non mi sarei mai sognato di fare e che rifarei altre mille volte".

Il reality è stato un grande successo
"A un certo punto i vip eravamo noi e non i nostri avversari di Serie A. Ricordo che dopo una partita contro il Milan, la gente fuori era impazzita. In un mondo normale credi che volessero fermare i giocatori rossoneri e parliamo di un grande Milan: Shevchenko, Maldini, Costacurta. No, fermavano noi del Cervia. Preferivano fare una foto con me piuttosto che con Paolo Maldini e non capivo come fosse possibile".

Hai parlato del fatto che l'esperienza ti è costata tanto
"A livello professionale mi ha danneggiato tantissimo. Appena spenti i riflettori del reality ho avuto una serie enorme di problemi, nonostante io prima del Cervia avessi giocato già per anni fra i professionisti".

Eppure avevi trovato subito una squadra, il Lecco
"I tifosi non mi volevano. Cioè, per il mio percorso prima del Cervia ero quasi io a fare un favore a loro e invece ero trattato con diffidenza. Lo stesso valeva per Spagnoli e Borriello, anch'essi vincitori del programma e anch'essi a Lecco".

Tutti e tre i vincitori al Lecco: c'è stato un accordo con Mediaset?
"Non proprio ma in qualche modo ci hanno forzato ad andare".

In che modo?
"Avendo vinto il reality mi guadagnai il pre-campionato con l'Inter, dove feci bene e avevo la possibilità di continuare ad allenarmi con loro. Mancini mi aveva preso in simpatia, giocavo le amichevoli. Ricordo contro il Norwich ero addirittura titolare. Insomma, tutto fantastico. Un giorno mi chiama il regista di 'Campioni' e mi dice che devo firmare per il Lecco. Io non volevo, alla fine fui costretto".

Ad ogni modo non stava andando malissimo, dato che sei finito in B
"Al Lecco nonostante i problemi ho fatto bene, tanto da risultare il miglior giocatore della stagione e guadagnarmi il contratto con i salentini. Un gran salto in avanti: piazza importante e un allenatore come Zeman. Lui però non mi vede proprio. Ha le sue idee e anche se ha una rosa di 22 giocatore ne fa giocare 13-14 al massimo. Non vede oltre a quello che ha deciso. E difatti per fare il mio esordio devo aspettare il suo esonero. Stavo perdendo la fiducia in me stesso. Non importava quanto potessi impegnarmi, non avrei mai avuto una possibilità. Per fortuna è subentrato Giuseppe Papadopulo che mi cambiò la vita".

A livello ambientale ti hanno accettato?
"No, i tifosi non mi hanno accettato. Ormai per tutti ero il tronista, l'attore. Con tutto il rispetto, venivo paragonato a Giorgio Alfieri al quale voglio bene, ma che aveva sfruttato 'Campioni' per entrare nel mondo dello spettacolo, essendone peraltro portato. Io invece volevo fare il calciatore e mi sono reso conto a quel punto che in Italia non avrei avuto speranze, l'associazione al reality show mi aveva condannato".

Da qui l'addio all'Italia
"Sono andato negli Stati Uniti da mio cugino. Da lì sono finito a Puerto Rico e mi sono ritrovato in USL a giocare per il Puerto Rico Islanders. Esperienza fantastica, dove pur facendo il centrale di difesa segnavo con grande frequenza. Alla fine sono stato eletto miglior giocatore della Lega. È stato il mio lasciapassare per la MLS: ho firmato per il Philadelphia e ho trovato l'America, in tutti i sensi. Perché ho realizzato il sogno che non avrei potuto realizzare in Italia".

Sei riuscito a diventare anche portoricano e rappresentare la sua nazionale. Come è stato possibile?
"Sono nato a Orlando, quindi avevo già la cittadinanza statunitense. Puerto Rico ha dei legami tali con gli USA da essere considerato il 51° stato. Pertanto dopo due anni di residenza puoi avere anche la nazionalità portoricana. La Federazione mi ha fatto un'offerta, anche economica e ho accettato. Diciamo che mi hanno acquistato (ride, ndr). Volevano dare un po' di qualità al movimento e far sì che gli abitanti si appassionassero a uno sport che non è popolare quanto il baseball".

Che esperienza è stata?
"Esperienza incredibile: ho potuto giocare le qualificazioni per i Mondiali, la CONCACAF Champions League. Un ricordo bellissimo è l'amichevole che abbiamo giocato contro la Spagna, dove abbiamo perso con un onorevole 2-1. Marcavo Iniesta, uno dei miei idoli: l'ho riempito di calci (risata, ndr)!"

Insomma, nessuna nostalgia per l'Italia
"Intendiamoci, l'Italia mi manca ogni giorno sempre di più e dipendesse dal cuore tornerei anche a piedi. Ho gli affetti lì ma non ci sono i presupposti per tornare. A fare cosa poi? Ad allenare in un settore giovanile per tirare a campare ogni mese non mi sembra saggio. A livello di curriculum molti allenatori hanno più esperienza di me. E poi gli Stati Uniti mi hanno dato le occasioni che l'Italia non mi ha dato. Vivo a Holden, nel Massacchussets, i miei figli sono statunitensi e sono pienamente integrato in questo mondo".

C'è una squadra in cui avresti voluto giocare?
"Sì, mio padre era basco e da piccolo ho vissuto nei Paesi Baschi. Andavamo al vecchio San Mamés e sono diventato un super tifoso dell'Athletic. Sarebbe stato un sogno giocarci".

E in Italia chi segui?
"L'Inter resta nel cuore perché Moratti, Mancini e i compagni di squarda mi hanno fatto sentire benvoluto, mi hanno dato amore".

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