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I segreti di Yaya Touré: "Sono pronto per allenare. Solo al City ho trovato la mia posizione"

di Ivan Cardia
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Appesi gli scarpini al chiodo, Yaya Touré si appresta a intraprendere una nuova carriera da allenatore. L’ex centrocampista del Manchester City ne ha parlato a The Coaches’ Voice: “Quando giocavo non ho mai considerato di allenare. Volevo giocare, finire la mia carriera nel modo giusto. Ma le parole di un allenatore, che mi disse che avrei potuto allenare, sono rimaste nella mia testa, anche se non ero pronto. A Manchester, parlavo spesso con Guardiola dopo gli allenamenti di cose specifiche, di parti del gioco che amavo analizzare. Lui capiva che io capivo il gioco: io credevo di pensare al mio modo di giocare, e non che stessi pensando come un allenatore. L’ho sempre fatto, per me è stato naturale: al City, cercavamo sempre modi di migliorare. Parlavo costantemente con David Silva, con Nastri: se non riuscivamo a servire Aguero, dovevamo cambiare strada, invertire le rispettive posizioni.

Ho avuto grandi allenatori. Mancini, Pellegrini, Guardiola. Danno una struttura, ma la comunicazione tra i giocatori è molto importante. Devi parlare in campo e lo facevo con tutti i miei compagni. Io ero sempre quello che attaccava di più centrocampo, e sapevo che li avrei potuti aiutare se non avessi perso facilmente la palla, così come loro avrebbero potuto aiutare me recuperandola velocemente. Ci siamo aiutati: io rallentavo gli avversari pressando, loro cercavano di anticipare i passaggi che mi avevano superato. Quando è arrivato De Bruyne, cercavamo soltanto di renderlo felice: mi ha detto dove voleva la palla, e io ho cercato di aiutarlo a migliorare.

È una cosa che ho imparato al Barcellona. Siamo tutti diversi. Se non parli, non riesci a far rendere i tuoi compagni al meglio. Penso che derivi anche dalla mia educazione in Costa d’Avorio: da bambino giocavo con i miei amici per strada, poi un allenatore di nome Jean-Marc Guillou mi ha portato nella ASEC Mimosas Academy e mi ha fatto capire la differenza tra un dilettante e un professionista. Lì ho imparato a lavorare duramente, ma ho anche fatto tantissime domande: volevo capire cosa fare e perché dovevo farlo. Quando sono arrivato in Europa, al Beveren, ero inizialmente spaventato. Ero molto magro, quasi piccolo, e tutti gli altri mi sembravano enormi. È stato soltanto al City che ho trovato la mia posizione migliore. Ho giocato da centrale al Barcellona, ma al City, da box-to-box, mi sono trovato alla perfezione. E Pellegrini mi ha dato responsabilità: dopo Kompany, il capitano ero io”.

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Sabato 4 Maggio 2024
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