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Inter, Conte e quella sensazione di perenne insoddisfazione

di Alessandro Rimi

Strategia e voglia di osare. Più la sfida appare impossibile, più Antonio Conte si esalta. Altrimenti che gusto c’è, sarebbe troppo facile, troppo banale. Per vincere partite dal coefficiente di difficoltà altissimo, servono perfezione e regolarità. Ad ogni costo, anche se questo comporta riscrivere il dna e la storia di una storica società: l’Inter. Era già successo con la Juventus, leader temuta e indiscussa poi divenuta “umile provinciale tutta corsa e intensità”, con la Nazionale, trasformata in corsa in un vero club nella forma e nella mentalità, quindi con il Chelsea storicamente fisico e prevedibile, grazie all’ex ct riprogrammato su un nuovo modello di tattica e libertà totale dei quinti (Pedro e Hazard). In ogni caso, Antonio ai nastri di partenza da allenatore è sempre stato sfavorito. Di sicuro mai è partito con l’etichetta di primo candidato al titolo. Infine, escluso la pur strepitosa parentesi in azzurro, ha sempre vinto. Nondimeno Conte difficilmente si è mostrato del tutto soddisfatto. Qualcosa ai suoi occhi, nel suo cuore, spesso non va per il verso giusto. Perché guai a non pensare a come migliorare un singolo, un gruppo, un percorso, una rosa. La sua squadra necessita di «andare a mille all'ora perché appena stacchiamo il piede dall'acceleratore è difficile vincere la partita». Ma è bene che Marotta intervenga per ripulire l’Inter dagli elementi inadatti (Borja in primis). Lo ha scelto lui Conte e se c’è un aspetto (mentale quanto caratteriale) che in passato l’ad ha appreso più di tutti è proprio la fame costante che in assoluto contraddistingue il tecnico interista. Facile pensare alla metafora del ristorante da cento euro. E ora, in qualche modo, questa fame toccherà saziarla.


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