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Mancini si lamenta dei troppi stranieri in Arabia. Quanto è cambiato dalla prima con l'Italia

di Andrea Losapio

C'è sempre una motivazione dietro. Un alibi. Roberto Mancini oggi ha parlato dei pochi sauditi che giocano nel campionato. "Tre anni fa i giocatori sauditi giocavano tutte le partite. Oggi, dal 50 al 60% di loro non gioca. Questo è il primo problema, anzi l'unico problema che abbiamo in questo campionato". Questo significa che c'è un 50% di sauditi che giocano che, in una lega, vorrebbe più o meno dire almeno un centinaio di giocatori da cui scegliere e che si allenano con alcuni fra i migliori campioni del calcio mondiale, da Cristiano Ronaldo a Benzema, oppure Kanté e compagnia. Tanti? Pochi? Intanto c'è un tetto massimo di otto stranieri quindi tre devono essere sempre in campo, per definizione. In Italia questo non c'è.

Poi è chiaro, l'Arabia non è mai stato un paese di grande tradizione calcistica, almeno sul campionato. È arrivata più volte alle fase finali dei Mondiali, sfruttando la facilità del continente e delle qualificazioni. Salvo poi fare delle figure più o meno buone: a USA 1994 il gol del torneo è stato di Al Owairan, poi però nel 2002 presero 8 gol dalla Germania. Up and down come è normale e, quando vai ad allenare certe nazionali, dovresti essere abituato. Anche perché la scelta non è certo per vincere il Mondiale.

Poi, come in tutte le cose, puoi capitare anche di fallire. Mancini è stato aspramente criticato dal capo del calcio saudita per il comportamento prima dei rigori con la Corea del Sud, in Coppa d'Asia, quando se n'è andato prendendo un rosso. Oggi giocherà, in una sfida chiave per il gruppo, contro un Giappone che sembra uno schiacciasassi. L'alibi può andare bene per i parallelismi, poi c'è il campo. Quando arrivò alla prima conferenza stampa di Coverciano, Mancini disse: "Vogliamo vincere l'Europeo. E poi il Mondiale". I tempi sono decisamente cambiati.


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