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L'affaire Dzeko certifica che all'Inter il cambio di proprietà è ormai inevitabile. De Laurentiis e le doverose riflessioni sul Napoli che verrà

di Raimondo De Magistris

Tornate indietro di un anno, alla sessione di calciomercato in cui l'Inter si regalò Christian Eriksen. Immaginate se la Roma, in quella occasione, avesse bussato alla porta del club nerazzurro e avesse fatto la proposta arrivata questa settimana: "Che ne dite di fare uno scambio alla pari Sanchez-Dzeko?".
L'affare si sarebbe chiuso subito, in poche ore. Prima di qualsiasi ripensamento. Non perché Sanchez ad Appiano non goda di buona considerazione. Anzi. Ma Edin Dzeko è desiderio di Antonio Conte fin dai tempi dell'acquisto di Romelu Lukaku. Per il tecnico nerazzurro il centravanti bosniaco era ed è calciatore perfetto per alternarsi al suo numero 9. L'avrebbe voluto già al Chelsea e ci provò nell'estate 2019, quando l'Inter mise sul piatto fino a 15 milioni di euro. Non bastò, l'allora direttore sportivo della Roma fissò a 20 milioni di euro il prezzo del suo centravanti e non scese di un euro. Rinnovandogli poi a fine mercato il contratto fino al 2022 con un ingaggio da 7.5 milioni di euro che è stato poi il vero ostacolo nella trattativa nata e tramontata questa settimana.

I contorni della trattativa sono quelli che abbiamo raccontato minuto dopo minuto negli ultimi tre giorni. Dzeko guadagna 7.5 milioni di euro a stagione, Sanchez 7. Ma al lordo da qui a giugno - pur considerando solo uno scambio di prestiti - la differenza tra i due stipendi è di circa 3 milioni di euro perché il cileno, arrivato dal Manchester United, può beneficiare del Decreto Crescita e quindi l'Inter pagare l'Irpef al 50%.
L'Inter ha chiesto alla Roma di colmare questa differenza, la Roma ha risposto all'Inter che lo scambio sarebbe potuto andare in porto solo alla pari e quindi la fase di stallo è iniziata ancora prima che si entrasse in quella decisiva.
In altri tempi, solo qualche mese fa, l'Inter avrebbe colmato il disavanzo e chiuso in fretta l'operazione. Adesso non può. "Gli agenti - ha detto ieri Giuseppe Marotta - sono stati troppo audaci a portare avanti la trattativa senza fare i conti con l'oste". E quell'oste è il gruppo Suning, che per anni ha investito per costruire l'attuale gruppo ma adesso ha chiuso tutti i rubinetti, senza eccezione. Anche quando si presenta un'occasione più che favorevole.

Dall'Inter al Napoli, che non ha problemi societari ma che ha aperto riflessioni profonde su cos'è e sulla strada intrapresa dopo questo deprimente mese di gennaio. Negli ultimi 13 mesi - tra Rrahmani, Petagna, Politano, Demme, Osimhen e Lobotka - Aurelio De Laurentiis ha investito come nessun altro in Italia: oltre 130 milioni di euro al fronte di cessioni per quasi 100 milioni di euro in meno, quella di Allan in estate e quella di Milik qualche giorno fa.
Questo Napoli però 13 mesi dopo non è riuscito ancora nel salto di qualità. Questione di mentalità ancor prima che di punti conquistati, di intermittenti convinzioni e spie rosse che si accendono alla prima difficoltà. Questione di calciatori e acquisti che al netto di Osimhen - ancora non giudicabile - non hanno cambiato il volto della squadra.
Cambiare adesso, con una stagione così incerta, sarebbe un autogol. E' giusto che Gattuso e Giuntoli si giochino le loro carte fino in fondo, e che godano fino a maggio pieno sostegno della società. Perché il Napoli è ancora lì, a ridosso di una zona Champions vitale per evitare uno, due o anche tre passi indietro. Perché potrebbero avere ragione loro. Ma valutazioni sulle prossime stagioni sono legittime e anche doverose. Ne va del futuro ad alti livelli del Napoli, della competitività di una squadra che dopo aver tallonato per anni la Juventus potrebbe ritrovarsi stabilmente fuori dalle prime 4 posizioni senza nemmeno rendersene conto.


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