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Il primo squillo di Alexis Sanchez e l’interrogativo permanente sulla rosa dell’Inter

di Carlo Pizzigoni

Al 65’ il segnalatore dei cambi indica il numero 70. L’Inter ha appena ritrovato il vantaggio nell’importante match di Champions col Salisburgo. Alexis Sanchez, il 70, appunto, cammina verso la panchina: probabilmente pensa che avrebbe meritato qualche minuto in più: è lui quello che ha sbloccato la partita, lui che ha aperto l’azione che ha poi chiuso con una decisa finalizzazione. Thuram gli porge le braccia e le mani per celebrare il cambio, il cileno alza lo sguardo e, allontanata il subitanea moto di ribellione, applaude San Siro, che gli sta tributando un’ovazione. Esce lontano da Simone Inzaghi, ma il tecnico si avvicina velocemente al giocatore per abbracciarlo e ringraziarlo.

Alexis Sanchez ha occupato la sosta nazionale per dare tutto al suo malandato Cile: dopo la vittoria con l’ugualmente malandato Perù, la partita dell’umiliazione, quella col Venezuela, perso addirittura 3-0 ha visto lui come migliore in campo, lui come ultimo ad arrendersi. Lui, simbolo della Generación Dorada chilena, non riesce a trovare nessun giovane a cui passare il testimone: il Cile non è sempre meno competitivo, la testimonianza è resa dai Vidal e dei Medel,gli altri eroi di quel gruppo vincente, il primo del Paese ha sollevare la Copa America (due volte, la prima col rigore decisivo proprio di Alexis nella finale con l’Argentina), oggi per gambe e stimoli poco presentabili a livello internazionale. Eppure Sanchez, il Nino Maravilla, continua a sprecare sudore per il suo Paese, perché il Sudamerica rimane terra di calcio, e alla nazionale si dà tutto.

Naturale che Inzaghi lo abbia voluto centellinare al rientro ma lo ha poi voluto titolare nella gara di Champions, che è sempre stato il livello di questo giocatore che, dopo la Serie A, ha indossato prestigiose maglie come quelle di Barcellona, Arsenal e Man United, robe non da tutti, e proprio ieri sera è diventato il maggior goleador cileno della storia della Champions.

La camminata finale senza sbroccare di Alexis e l’abbraccio di Inzaghi sottolineano da parte di entrambi la volontà di recuperare un rapporto che due stagioni fa non era mai decollato. Anzi. La dirigenza interista aveva pagato una penale di uscita per liquidare il cileno, la storia si era chiusa male. Ma la grande stagione a Marsiglia, dove, schierato attaccante centrale e unico riferimento offensivo, è stato il vero motivo, l’unico per cui la formazione di Tudor è rimasta competitiva almeno in Ligue 1, ha rimesso in gioco tutto. L’Inter rimaneva poco convinta dal Tucu Correa, che aveva avuto diverse chances dal tecnico ma che palesemente non riusciva a scuotersi, finendo nel mirino anche della tifoseria, cosa che sicuramente non lo ha aiutato a livello psicologico. Era necessario cambiare, per lui e per la squadra nerazzurra. Da qui nasce l’Alexis 2.0, la necessità di ritrovare un rapporto. Anche perché, con il cambio di programma che stoppava il rientro di Lukaku, la promozione di Thuram e l’arrivo di Arnautovic (presto finito KO), c’è la necessità di un giocatore creativo. Si direbbe anche un giocatore che può, in brani di partita, anche accompagnare i due titolari. Direbbe, condizionale. Perché almeno fino ad ora Inzaghi, nei momenti in cui poteva optare per questa soluzione (in casa col Sassuolo, ad esempio), ha sempre e solo voluto due attaccanti in campo. Il suo 3-5-2 vive di quelle certezze che il mister piacentino ha accumulato in questi ultimi due anni, dove ha raggiunto anche la finale di Champions, oltre che diverse coppe, mancando però sempre l’obiettivo scudetto, come gli rimproverano i più esigenti censori. Perché, si chiedono sempre loro (ma l’Inter è élite, esigere il massimo è naturale), Inzaghi non cambia. Inzaghi nelle rotazioni di centrocampo dei suoi giocatori, nella richiesta di partecipazione dei suoi braccetti, in qualche situazione ha mostrato una ricerca, un minimo di cambiamento. Troppo poco, secondo alcuni.

Il fatto è che l’Inter offensivamente non dispone di esterni d’attacco di alto livello, come invece praticamente tutte le sue avversarie di Serie A. Ma, secondo un circolo assai poco virtuoso, la società, che certamente non naviga nell’oro, non può svenarsi per giocatori con caratteristiche di uno contro uno sul lato che troverebbero poco spazio nel sistema prediletto dal tecnico. E da lì non ci si muove, anche se nella scorsa stagione, qualche abbozzata prova di 3-4-1-2 o 3-4-2-1 c’è stata, anche se poco convinta, e infatti raramente riproposta. Numeri, si dirà, non del tutto a torto. Perché comunque Mkhitaryan può andare a muoversi tra le linee partendo dalla posizione di interno. L’Inter rimane con pochi giocatori di uno contro uno, e l’ultimo arrivato Cuadrado, una occasione di mercato, è spesso ai box, almeno per ora.

Ma non era la miglior rosa della serie A? Certo, in alcune zone ha diversi cambi di qualità (l'investimento su Frattesi è stato pesante, anche se le condizioni economiche permettono di diluirlo nel tempo, e non meno pesante quello di Pavard, pagato 30 milioni al Bayern), in altre, specie davanti si deve arrangiare, e nel finale della gara col Salisburgo, ieri, è entrato Klaassen per Lautaro, con l’unico attaccante della Primavera, Sarr, secondo molti non pronto se non per brevissimi spezzoni. Insomma, tra poca volontà o impossibilità di muoversi, l’Inter rimane quasi sempre la stessa. Ecco perché Sanchez diventa centrale. La prima risposta importante è arrivata ieri sera. La stagione è lunga, tocca ad Inzaghi e (anche) ad Alexis renderla anche proficua.


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