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TMW RADIO - Stramaccioni: "Dopo l'Iran guardo al Sudamerica. Inter, col senno di poi non male"

di Dimitri Conti
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© foto di Federico De Luca
Archivio Stadio Aperto 2020
TMW Radio
Archivio Stadio Aperto 2020
Andrea Stramaccioni intervistato da Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini
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L'allenatore Andrea Stramaccioni, reduce dall'esperienza in Iran alla guida dell'Esteghlal, si è collegato in diretta ai microfoni di TMW Radio, nel corso della trasmissione Stadio Aperto, condotta da Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini: "Quella di accettare l'offerta iraniana è stata una scelta particolare: inizialmente non conoscevo molto il calcio asiatico, poi ho visto qualche immagine, preso informazioni dal mio agente e si è rivelato un mondo incredibile, ho conosciuto un mondo in crescita come la Champions League asiatica. La Cina è la più in vista, ma anche il calcio persiano ed australiano, grazie a giocatori europei e sudamericani, ha raggiunto un livello buono. Un'esperienza importante, in una squadra che ha milioni di tifosi. Ho accresciuto il mio bagaglio personale".

La passione calcistica non sembra mancare a quelle latitudini.
"Assolutamente, è sfrenata. Vedere stadi così grandi, da 90mila-100mila posti sempre pieni mi ha ricordato gli anni Ottanta, la mia adolescenza italiana. Un pochino le pay tv, non me ne vogliano, hanno cambiato tutto questo. Non che sia meglio o stadio o 90° Minuto, ma c'è quel tipo di passione lì: più che sul divano, segui la squadra dal vivo".

Sui social ancora la ringraziano.
"Questa è una grandissima soddisfazione, essendo stato solo 8 mesi sicuramente è stato apprezzato il fatto che, dopo una partenza negativa e piena di problemi, si sia arrivati in testa e si fosse stabilmente lì, dodici anni dopo l'ultima volta. I tifosi posso solo ringraziarli, ricambio il loro affetto".

Come si vive ad aver vissuto di seguito esperienze in Grecia, Repubblica Ceca ed Iran?
"Il calcio è cambiato tanto, è globalizzato e oggi con attrezzature di scouting puoi vedere qualsiasi partita al mondo. Ci si è investito un po' ovunque, non si trovano più le squadre materasso da tanto a poco: c'è preparazione complessiva. Per me l'Italia rappresenta sempre una priorità, ma sono giovane e, pur di non rimanere fermo perché non si è concretizzata l'offerta giusta, ho preferito accettare squadre comunque storiche come Panathinaikos e Sparta Praga, è stato un orgoglio. Rimango comunque favorevole ad un incarico qui in Italia".

Che campionato le piacerebbe scoprire adesso?
"L'esperienza asiatica mi ha fatto crescere ed ampliare le vedute, ho ammesso la mia ignoranza. Mi affascina molto il Sudamerica, lo dico per dire, non perché domani voglia andarci. Ma una volta era facile arrivare al grande talento che veniva portato via, mentre adesso i grandi talenti rimangono lì, e quello sudamericano è sempre più ricco, seguito e all'avanguardia. Spettacolare. L'Italia resta al top ma il calcio rimane bello a qualsiasi latitudine".

Quanto è importante oggi il calcio giovanile? Si rischiano tagli o investimenti scarsi?
"Purtroppo è un tasto dolente, meriterebbe maggior approfondimento. Tanti di quelli passati in Serie A negli ultimi anni, e cito solo Simone Inzaghi o Gattuso, vengono dal settore giovanile. Le nostre Nazionali giovanili sono sempre state bacino della squadra A, l'arrivo di tanti stranieri, e lo dico con un senso buono di patriottismo, può soffocare un po' il talento. Andando all'estero tendi ad essere sempre più orgoglioso dell'Italia, soprattutto per la scuola di Coverciano che abbiamo. Il Covid crea ripercussioni clamorosamente negative su dilettanti e professionisti, e si rischia di tagliare quella come prima voce. Le varie Inter, Juventus, Roma e Fiorentina continueranno ad andare bene a livello giovanile, invece, secondo me".

Lei ha una certa formazione culturale alle spalle. Quanto è importante?
"A 14 anni sono andato a Bologna a fare il professionista cullando il sogno di fare il calciatore. Purtroppo a 20 il terzo intervento mi ha portato a smettere. Per fortuna i miei genitori mi hanno tenuto sul pezzo con lo studio, perché è importante. Pur svanito il sogno di giocare, ho fatto l'università. Il calcio era un hobby, e solo quando sono diventato professionista ho abbandonato l'attività legale. Nel settore giovanile della Roma sentivo di ragazzi che saltavano giorni di scuola e mi arrabbiavo tantissimo, perché almeno il diploma va preso: non tutti hanno la fortuna di arrivare in Serie A, molto è bravura ma c'è anche qualche coincidenza. Anche la più rosea delle carriere finisce tra 36 e 40 anni, a meno che tu non sia Zanetti, io che ho avuto la fortuna di allenarlo. Non dico che tutti debbano laurearsi, ma la scuola dell'obbligo va presa seriamente. Nel mio piccolo cerco di essere testimone di ciò".

Lei ha collaborato con Gasperini a Crotone...
"Sapete un sacco di cose! Sì, non ricordo neanche se avevo 25 anni, grazie al ds Giuseppe Ursino che è una persona di riferimento, un fenomeno per cosa tira fuori dai mezzi che ha. Mi sono interfacciato con Gasperini appena uscito dalla Primavera della Juve e cominciava la sua esperienza di allenatore professionista a Crotone. Mi mandava a vedere le partite nel Lazio, e c'era anche Juric come suo giocatore: due futuri grandi allenatori, che ironia della sorte ho ritrovato entrambi all'Inter. Io arrivai in nerazzurro più o meno insieme a loro. Gasperini è un riferimento, ho rispetto ancora prima dell'uomo che del tecnico: ci sentiamo spesso e per lui posso usare solo parole di stima".

Sente ancora le scorie addosso di quell'anno all'Inter?
"Rispondo col sorriso e con serenità maggiore. Inizio con una battuta, ma è la verità: per il punto in cui sono partito nel mondo del calcio, se smetto domani io sono felice per tre vite. A differenza di tanti altri colleghi che sono stati grandi calciatori, io quasi dal nulla sono riuscito a diventare un allenatore, e da ragazzo di quartiere dico che è un grandissimo risultato. L'esperienza all'Inter è un sogno, coronato, e soprattutto per due stagioni. Ho allenato campioni incredibili con cui ho grandi rapporti di stima, pensate che Stankovic per esempio è stato con me a Udine. Oppure Zanetti, Cambiasso... Finché le cose andavano bene sono riuscito a far vedere quel pochino che ho di mio, mentre poi quando eravamo in difficoltà, nel trauma della cessione, ho forse peccato d'inesperienza, ma non mi pento di niente e l'ho fatto sempre a testa alta. Essere nel cuore degli interisti è un attestato di stima: al netto dei miei errori si è apprezzato persona ed allenatore, qualcosina di buono l'abbiamo fatto. Solo orgoglio e felicità".

Lei cosa giudica per valutare il suo lavoro?
"Nella mia esperienza, e credo di essere ancora giovane con tanto da imparare, ho sempre provato a crescere in ogni allenamento. A volte il lavoro può essere giudicato a posteriori. Se faccio l'esempio dell'Inter, prima e dopo di me ci sono stati allenatori più famosi e magari anche bravi che però hanno faticato di più. Questo fa capire quanto fosse difficile iniziare con l'Inter. All'Udinese per me la stagione è stata positiva, ci siamo salvati per tempo e, non avevo fatto caso a questa statistica, sono l'unico che a Udine ha fatto una stagione intera negli ultimi sei anni. Magari il fatto era che c'erano pure difficoltà oggettive, nel mio piccolo cerco di imparare e ammettere gli errori che fai, per essere un allenatore migliore".

Cosa le ha lasciato il lockdown?
"Una sensazione che veramente bisogna godersi le cose belle quando ci sono. I momenti brutti arrivano senza un motivo e una spiegazione, l'Italia dal giorno alla notte ha perso tantissime vite, bisogna passare tempo con chi amiamo, la nostra famiglia. L'ho vissuta in senso molto riflessivo".

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