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Diario da Rio - I sospetti sul misterioso effetto Cile

di Tancredi Palmeri
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A questo punto, che qualcuno indaghi. Succede che accade qualcosa di strano alla nazionale cilena.
Prendete 11 giocatori, non specifici in sé, ma gli 11 giocatori che vanno in campo di volta in volta.
Undici giocatori che peraltro hanno un effetto altalenante sulle loro squadre normalmente, e un rendimento spesso trascurabile. E poi capita che quando gli 11 selezionati scendano in campo con la maglia del Cile, si trasformino tutti assieme in una cosa che non sfiorano minimamente durante l’anno.
Prendete il Cile contro il Giappone: stiamo parlando della squadra con l’età media più alta della Copa America, contro la squadra con l’età media più bassa (dovuta alla convocazione di tredici Under 23 in modo da fargli acquisire esperienza in vista delle Olimpiadi di Tokyo).
Ci sarebbero varie maniere per cui attendersi un 4-0: la maggiore esperienza del Cile, o la maggiore classe nel complesso, o la presenza di singoli di valore superiore. Ma considerando le premesse, considerando il rendimento dei cileni durante l’anno, e considerando anche il rendimento della Roja stessa in partite non ufficiali fuori dalla Copa America (solo 4 vittorie nelle ultime 12 partite), mai ci si potrebbe aspettare una prestazione annichilente sul piano della velocità di gioco e di esecuzione.
E invece il Cile transita sul Giappone proprio a 90 minuti incredibili giocati sovraritmo, contro un avversario che pure con tutte le ingenuità anche così però è riuscito ben 5 volte a presentarsi da solo davanti al portiere. Ma la velocità di palleggio, instancabile, del Cile, per praticamente tutta la partita, è stata scioccante.
Non si spiega, c’è qualcosa che non quadra. Ci sono sospetti, su quella maglia rossa. Forse contiene una particella della vita nascosta nelle Ande che provoca la fusione nucleare degli 11 singoli.
Deve esserci qualcosa, altrimenti non si spiega. Prendete Edu Vargas, assolutamente trascurabile in carriera, e solo 21 gol negli ultimi 2 anni nel pur generoso campionato messicano. Poi arriva in nazionale, e mette due reti di gran fattura, da centravanti di rango. O Alexis Sanchez, da schiaffi e pugni che nemmeno Delio Rossi per quanto irritante sia stato nel suo ultimo biennio, e poi invece si produce in una prestazione ammirabile in rifinitura, addirittura in crescendo nella partita, permettendosi anche un gol in tuffo senza paura verso le gambe del difensore.


I cileni come noi sono finiti fuori dagli ultimi Mondiali. Con lo smacco ulteriore di farlo da bicampioni in carica sudamericani. Forse anche per questo ci mettono l’anima.
Stiamo parlando di un popolo che in Sudamerica non ha eguali, e forse nel mondo. Che vive in una terra geologicamente complicatissima da addomesticare. Una sorta di condanna a morte nota e perpetua, perché sa che periodicamente arriverà un gigantesco terremoto a riazzerare gli sforzi del progresso.
Un popolo che nel 2010 ha sofferto uno dei terremoti più terribili dell’era moderna, secondo solo a quello che provocò lo tsunami dell’Oceano Indiano del 2014, un terremoto durato tre minuti (tre minuti!) che ha liberato un’energia pari a 30.000 (trentamila!) volte il terremoto de L’Aquila, un terremoto che ha ucciso 573 persone in un paese dove i criteri antisismici sono rispettati al millimetro.
Un terremoto infine che secondo la Nasa ha spostato l’asse terrestre di 8 centimetri, e accorciato le giornate di 1.26 di microsecondi (provate a rileggere l’ultima frase e darle un senso che noi umani si possa comprendere al di là del significato delle parole in sé).
Un popolo che soffriva ciò nel 2010, e nel 2015 era in grado di ospitare la Copa America non solo con dignità, ma con orgoglio per aver messo già tutto a posto, per essersi rialzata in piedi e non solo, per aver ricostruito le strade, le case, i tetti e la normalità dell’esistenza che c’è dentro.
Un popolo guerriero. Ma non nel senso di guerra d’assedio agli altri. Quanto di guerra di difesa del proprio diritto a esistere.
In un certo senso incarnato sul campo di calcio dal livello a cui è assurto Arturo Vidal, già tra i più grandi giocatori cileni della storia con Zamorano, Figueroa, Leonel Sanchez, Salas. Un Vidal che contro il Giappone ha comandato, diretto, scandito, presieduto, inciso, posseduto. E quindi si capisce il momento in cui i tifosi cileni hanno trattenuto il fiato allorquando Arturito ha lasciato il campo per un problema muscolare.
E’ un mistero l’effetto Cile. Un sovrumano effetto del genere umano.

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