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Parma, Turk: "Mi chiamano Iceman: in campo sono un freddo. Cresciuto con Buffon e Cech"

di Luca Bargellini
Fonte: ParmaLive.com
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Intervistata a Cronache di Spogliatoio, per il portiere sloveno del Parma Martin Turk. Il classe 2003 dei ducali si è raccontato, svelando anche un retroscena su un suo vecchio amore, quello per la danza: "A sei anni ero con mia madre in un negozio. A un certo punto guardo in alto e vedo una pubblicità in televisione, piena di persone che danzano, ridono, scherzano. Le tiro la giacca con forza dicendole ‘mamma, voglio fare quella cosa lì. Voglio ballare’. E così è stato. L’ho fatto per un anno, mi sono divertito".

Poi però ha scelto il calcio, in porta:
"Papà ha giocato a livelli amatoriali, mio fratello è stato un terzino ed era anche bravo, il mio migliore amico pressava. ‘Dai, vieni anche tu’. Alla fine ho ceduto. Sono arrivato a Parma a 15 anni dopo tre provini con la Roma e uno con il Genoa. Qui ne ho fatti un paio, ma mi hanno cercato più di tutti".

Hai provato ansia al debutto con il Pisa?
"Ansia? Ma va. Neanche quando ho giocato un tempo sotto la curva dei toscani in trasferta. Erano in duemila, ma nessuna paura. Mi chiamano ‘Iceman’ perché in campo sono un freddo. So gestire le emozioni, non mi faccio influenzare. Se sbaglio va bene così, passa tutto. E tiro dritto".

A Buffon dai del tu o del lei?
"Non sapevo se dargli del lei o del tu. Sono cresciuto con le sue parate. Lo guardavo parlare con gli altri e pensavo ‘oh, ci gioco insieme’. Appena gli ho stretto la mano ho chiamato i miei genitori in Slovenia. ‘Non potete capire’. Suo figlio è del 2004, un anno più piccolo di me, fa effetto a entrambi credo. Conservo ancora i messaggi che mi ha scritto dopo il debutto in Serie B. E ogni tanto mi ‘cazzia’ per spronarmi a dare il massimo".

Hai esordito con la 22:
"Da piccolo mi piaceva l’8, a volte indossavo anche l’88. E' iniziato tutto quando avevo 7 anni e giocavo da un paio di settimane con lo Jadran Dekani, la mia prima squadra. L’allenatore ci chiese chi volesse provare tra i pali. Guardavano tutti per terra, così risposi ‘vado io’. Nel primo tempo ho fatto un paio di belle parate e non sono più uscito".

Parli italiano come se lo fossi anche tu:
"L’ho studiato a scuola, sono cresciuto guardando Buffon e Cech. Me lo ricordo sempre con quel caschetto iconico. Il primo trofeo importante l’ho vinto a 15 anni contro il Portogallo. Era il Torneo delle Nazioni. Con me c’era anche Sesko, oggi titolare a Salisburgo. Ho parecchi flash di me da piccolo con dei trofei in mano. In uno di questi, con lo Jadran, parai anche un rigore in finale, poi mi ha preso il Koper. A 13 anni mi allenavo già con la prima squadra".

Nove presenze con la Nazionale Under 21, una panchina con la maggiore:
"Sì, e accanto a me c’era proprio Oblak. Gli ho fatto anche da raccattapalle. Nel 2016 giocò a Capodistria con la Macedonia e io ero lì. Handanovic? L'ho incontrato a ottobre 2020, Inter-Parma 2-2, prima panchina in Serie A a 17 anni. Samir era incazzato per aver preso due gol da Gervinho, ma abbiamo parlato un po’. Mi ha dato alcuni consigli e ovviamente la sua maglia. La conservo come fosse una reliquia".

Accanto a quella di Buffon:
"Prima del Pisa mi ha tranquillizzato, ’gioca con calma e andrai bene’. Era infortunato, ma nessuno sapeva che sarebbe arrivato in ritiro. Ama instaurare un rapporto sincero, mentalmente ti fa stare sul pezzo. Ricordo anche ciò che mi ha detto dopo l’esordio. ‘Non sentirti arrivato e stai concentrato, perché sei solo all’inizio’. Tra l’altro devo ancora portare i pasticcini nello spogliatoio insieme a Circati e Bernabé. Forte forte lui, gran mancino. Ha stupito anche noi".

Il tuo sogno è difendere i pali della Slovenia:
"Il Mondiale del 2010 è stato unico. Siamo usciti con 4 punti e per un gol di Donovan all’ultimo minuto. Sul mio comodino c’è un libro su come ci siamo qualificati. C’erano Handanovic, Birsa, Cesar, Khrin. Una bella squadra. Tra l’altro nel 2004 vinse 1-0 contro l’Italia e in porta c’era Buffon. Segnò Cesar su un’uscita di Gigi tutt’altro che perfetta. Una volta gli ho fatto vedere il video del gol dicendogli ‘oh, ma dove andavi qui?’. L’ha presa a ridere. Lui è così. Umile, disponibile, ti tratta come fossi un suo pari. Lo stesso fanno Pandev, Danilo, Schiattarella. Hanno tutti almeno 15 anni anni più di me. Quando c’è da sgridare noi giovani lo fanno, ma anche quando c’è da dirci ‘bravi’. Ci tengono in riga, ecco".

Sei uno con la testa sulle spalle:
"Ho una mentalità vincente e voglio migliorare. In porta, ad esempio, mi sento sicuro tra i pali, ma devo fare di più nel gioco con i piedi. In questo Iachini mi aiuta. Prima delle partite parliamo spesso, mi prende da parte, mi spiega come affrontare le cose. A Parma mi sento a casa".

E ora sei al Parma:
"Qui cammini nella storia, percepisci la grandezza della società guardando i trofei. Quando Gigi inizia a raccontare del suo vecchio Parma, quello di Veron, Cannavaro, Thuram e Crespo, campione in Coppa UEFA nel 1999, ci mettiamo seduti e ascoltiamo rapiti, in silenzio. Il bello è che molti di noi non erano neanche nati. La testa è già al prossimo anno, vogliamo riscattare questa stagione e provare a salire in Serie A. Se non avessi giocato a calcio avrei fatto il pompiere come papà. Credo in Dio e nel destino. Prima di ogni partita mi faccio il segno della croce, poi entro sempre in campo con il piede destro".

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