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Sampdoria, Stankovic: "Non piango e lavoro per trovare soluzioni. La situazione non è felice"

di Alessio Del Lungo
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© foto di Giacomo Morini

Dejan Stankovic, allenatore della Sampdoria, ha rilasciato una lunga intervista a DAZN, dove ha iniziato parlando dalla Gradinata Sud: "Dal campo mi sembra che i tifosi siano molto più vicini, invece c'è un po' di distanza, ma sono sempre vicini. A loro si può dire solo chapeau".

C'è da dargli qualche soddisfazione, soprattutto in questa porta.
"Non vedo l'ora, ma anche nell'altra porta, non mi interessa quale (ride, ndr). La prima vittoria, il primo gol a Marassi come allenatore è il minimo che devo loro. Sto lavorando e stiamo lavorando per trovare soluzioni, non mi metto a piangere, a chiudermi in un buco e ad essere disperato. No, con grande orgoglio cerco di difendere la nostra fortezza, prima o poi di vincere la prima partita e fare il primo gol qui in campionato. In Coppa Italia l'abbiamo fatto, ma in Serie A siamo ancora a secco".

Che giocatore era Stankovic?
"Uno generoso, che stava bene in campo in qualsiasi ruolo lo mettevano. La mia fortuna è stata che da piccolo giocavo centravanti, poi mi hanno spostato in difesa a fare il libero, il marcatore, quello che c'era nei vecchi tempi. Avevo piedi discreti, una tosta bella tosta, polmoni importanti e non avevo paura".

Che cosa le ha dato Mourinho?
"Con lui sono riuscito a dare un altro 20-30%. Come, non lo so, ma lui è riuscito a tirarmelo fuori schiacciando i tasti giusti, tirando fuori qualcosa di me che forse non sapevo di avere. Sono cambiato anche come uomo".

Ogni tanto faceva gol.
"Eh, ogni tanto mi andava sull'esterno. Una leggenda della Stella Rossa mi ha insegnato a calciare portando il corpo in su e girando il piede. Pian piano è diventato un mio marchio di fabbrica. Quando mi usciva la palla dal piede vedevo già se sarebbe andata in porta o meno".

Un gol clamoroso lo fece contro il Genoa.
"Sì, ci fu un rinvio un po' sbagliato di Amelia. Anche quel gol è strano, perché ho usato la forza del tiro di Amelia per arrivare lì. C'è una scena bella da dietro, che quando faccio il movimento per calciare si vede da dietro Maicon che fa lo stesso. Devo dire la verità, contro il Genoa non eravamo in difficoltà come contro la Sampdoria quando venivamo qua a giocare. Storicamente la Sampdoria ha un segno importante per me: c'erano Oriali, Mancini, Vialli... Quella generazione che ha giocato la finale di Champions all'ultimo minuto. Poi con Boskov, Sinisa (Mihajlovic, ndr)... C'era la cultura della Serbia portata verso la Serie A e verso i colori della Sampdoria".

Prima di venire alla Sampdoria sicuramente ha parlato con Sinisa.
"Ho parlato sempre con Sinisa, di tutto. Era il mio punto di partenza, il mio punto di riferimento, uno che mi diceva: 'Vai tranquillo, andrà tutto bene'. Solo quello. Ci parlavo di tutto, poi le scelte le facevo io, ma lui ti dava consigli, ti tirava le orecchie quando le cose non andavano bene. Quello è il fratello, non quello che ti dice solo quando le cose vanno bene, ma che ti rimprovera quando sbagli. Sinisa mi ha portato via tutte le parole, il dolore immenso e quello di Arianna, dei bambini, di suo fratello, di sua mamma... Io prego tutte le notti Dio di dare loro la forza di andare avanti. Mi tengo tutto dentro e sono fiero di aver fatto parte della sua vita. Quanto? Non lo so, ma ne ho fatto parte. E sono fiero che lui sa quello che pensavo. E quanto lo rispettavo, quanto gli volevo bene".

C'è una frase che glielo ricorda?
"Ce ne sono tante, come questa: 'Non ti devi pentire mai di quello che hai fatto, solo di quello che non hai fatto'. Questa è la frase di Sinisa, che la puoi usare in qualsiasi contesto, nella vita e nel calcio".

Come ha vissuto gli ultimi anni della sua carriera?
"Non ero preparato a smettere. Il primo anno è stato abbastanza difficile, mi mancava quella adrenalina. Ok, il mare ad agosto era salato e non lo avevo mai assaggiato. La vacanza prolungata mi è piaciuta un po', poi però arriva settembre, colazione, portavo a scuola i bambini e alle 11? Cosa faccio?".

Che soddisfazione c'è dalla panchina rispetto a quando giocava ed ha segnato e vinto?
"Diversa. Come lavoro è una cosa molto importante, che vale tanto, ma non dipende tantissimo da te. Puoi preparare la partita, mettere te stesso, andare nei minimi particolari, ma succede un episodio al 3' ed è finita. Il modo di adattarsi a qualsiasi domanda ti fanno, tu devi avere la risposta. O almeno mascherare di averla".

Il lavoro è più settimanale quindi? La domenica è più tranquillo?
"No, no (ride, ndr). La soddisfazione è che nel calcio non sempre 1+1 fa 2. Tante volte puoi fare una partita da Dio e la perdi. Rimani deluso, ma ci sono cose che ti sono piaciute. Il massimo è quando la prepari bene, si incastra bene, giochi bene e vinci. Lì c'è la soddisfazione del tuo lavoro, che hai coinvolto 30-40 persone".

Com'è lo Stankovic allenatore?
"Soffro tanto. Io sono all'interno di quel 10% di allenatori che lo fanno per passione, grinta, voglia, adrenalina".

Aveva detto di non volersi riaffezionare come in passato.
"E invece ci sono ricascato di nuovo (ride, ndr). Forse arriverà con l'esperienza, ma per adesso sono questo. Mi sono affezionato così tanto ai giocatori della Stella Rossa che erano come i miei fratelli minori, ero un compagno di squadra con qualcuno. Ogni partita soffrivo tanto, stavo male. Dicevo: 'La prossima spero di non affezionarmi così perché mi permetterà di essere più lucido'. Ci sono ricascato. Mi sono affezionato alla piazza, a tutti quelli che lavorano per la piazza, che sono persone straordinarie e che ho qua (si tocca il cuore, ndr) dopo 4-5 mesi".

Qual è il suo rapporto con i giocatori?
"Io li rispetto ancora di più perché, non ci nascondiamo, la situazione non è felice, lo sappiamo tutti. Loro cercano ogni partita di dare tutto, qualcuno anche oltre le proprie possibilità per uscire con la testa alta, chiedo loro solo quello. Umiltà e orgoglio".

Questo è ciò che fate vedere.
"C'è un detto in Serbia: 'C'è qualcuno che molla quando le cose diventano difficile e c'è qualcuno che parte quando le cose sono difficili'. Io sono nel secondo gruppo. Perché riesco a trasmettere il coraggio? Perché dico sempre la verità, sono diretto. Quello che avevo da dire l'ho detto ai miei superiori e rimane lì, poi si va sul campo a lavorare, si gira la pagina invece di piangere, cercando la soluzione. Sto lavorando per dare una gioia, per essere tutti insieme: a festeggiare, a soffrire e a scrivere nuove pagine. Non voglio pentirmi di non aver dato tutto".

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Domenica 19 Maggio 2024
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