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Lazio, Romagnoli ritrova il Milan e punge: "Sarebbe stato meglio essere più chiari..."

di Ivan Cardia
Fonte: Trascrizione a cura de LaLazioSiamoNoi
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"È bello per una persona giocare per la propria squadra del cuore ed essere a casa". Parola di Alessio Romagnoli, che a Dazn racconta cosa significhi per lui la Lazio, a poche ore dal ritorno in campo contro il Milan, di cui è stato capitano: "Però io penso che la scelta più forte, più importante, sia quella di trovare un  progetto serio, una squadra forte e un mister forte, perché io voglio vincere con la Lazio. È bello essere qui, ma io voglio vincere con la mia squadra del cuore, per me è la cosa fondamentale".

La prima volta a Formello?
"Ero un bambino, sarà stato il 2003/2004 ed è stata l'unica volta, prima di tornare quest'anno. Entrai con mio papà, perché tramite un amico ottenemmo due pass per assistere all'allenamento. C'era Mancini come allenatore e la squadra si allenava nella gabbia. Io sognavo di tornarci da calciatore, quando sono tornato è stato emozionante, come ogni giorno che ritorno. La mia fede biancoceleste me l'hanno trasmessa mio papà e mia nonna. Mio padre è sempre stato tifoso della Lazio, mia nonna anche e io da piccolo passavo molto tempo con lei, vedevo le partite con entrambi, la squadra vinceva, era una Lazio fortissima ed è stato molto facile affezionarmi".

Com'è nato il ritorno?
"Io ho sempre avuto l'idea di voler tornare. Non volevo farlo troppo tardi, ma in un'età in cui mi sentivo ancora bene, in cui potessi dare il meglio di me stesso. Avevo altre buone offerte sul mercato, però c'è sempre stata questa volontà di tornare, la voglia di vestire questa maglia. Molto hanno fatto anche le persone a casa che mi dicevano 'torna, torna'. La volontà c'è sempre stata, poi comunque la Lazio ha un bel progetto, è una squadra molto competitiva e molto forte, ha un mister che è molto molto bravo e preparato, quindi mi son detto che questo era il tempo per tornare".

Come ti trovi con Sarri?
"Lui mi piaceva dai tempi di Napoli, ero curioso di sapere come lavorava, in particolare con la linea difensiva, i dettagli su cui si concentrava. La compattezza nel derby? Noi lavoriamo tutti i giorni, sia di reparto, sia come squadra. Abbiamo dei concetti che seguiamo, che ci danno de benefici. Poi a volta capita, come è successo, che non va bene la partita ma l'idea con o senza palla è rimasta. Ci sono altre cose, poi, che vanno messe apposto durante la partita. La cosa bella, però è che noi abbiamo un'identità e la riconoscono tutti".

L'addio al Milan?
"Un calciatore italiano deve puntare a vincere lo scudetto. Vincerlo con una società come il Milan, da capitano, è una cosa fuori dal comune. È stato bello, dopo anni di delusioni, tante critiche, tanti movimenti bui, passare a fare 75 mila ogni volta a San Siro e sentirsi a casa ogni volta che andavamo fuori è stata una cosa pazzesca. Vincere è stato pazzesco. Critiche? Non me ne frega niente (ride, ndr). Possono dare fastidio, più o meno. Non sapevano come stavo alcune volte quando andavo in campo, sono stato male da novembre in poi con la pubalgia. Facevo fatica anche ad allenarmi. Fascia al braccio? Il bello e il brutto, la responsabilità che hai. Normale che quando la squadra va così così, il primo a mettere la faccia dev’essere il capitano. Rimango sempre focalizzato su quello che devo fare in campo".

Come vi siete salutati?
"Col Milan avevamo discusso della situazione del contratto, loro mi avevano fatto anche un’offerta. Poi le nostre strade si sono separate, loro hanno preferito fare altre scelte, io ho fatto le mie. Magari sarebbe stato meglio essere più chiari, in modo da non portare la trattativa fino alla fine. Però io del Milan posso avere solo ricordi bellissimi, 7 anni fantastici".

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