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#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Puskas, l'ungherese più conosciuto di Signa

di Andrea Losapio
#iorestoacasa - Tuttomercatoweb.com propone ai suoi lettori delle storie di calcio per tenerci compagnia in queste giornate tra le mura domestiche
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Il più delle volte, nella storia di un calciatore, si parte da un episodio. Da un gol, da una prodezza, dal momento in cui assurge alla storia. Per Ferenc Puskas è tutto diverso, perché era un giocatore degli anni ottanta calato nel calcio di vent'anni prima, come se Messi giocasse alla stessa velocità odierna di un calcio quasi camminato. Sarebbe dominante, in quasi tutto. Lo è stato la seconda punta per eccellenza, tanto che gli è stato dedicato il premio per il gol dell'anno. Abituato a segnarne caterve, in qualsiasi modo, con una tecnica e una rapidità che a vederlo così, con il viso già scavato a nemmeno quarant'anni, assomigliava più al placido vicino di casa rispetto a uno dei più grandi di tutti i tempi.

Il funerale definisce chi sei - Affascinante e macabro allo stesso tempo, probabilmente chiunque vorrebbe assistere al proprio commiato dalla vita terrena, nella forma pubblica, dove le coordinate ritornano al loro posto ed è il vero riassunto della propria esistenza. Impossibile così non prendere in prestito le parole di Ferenc Gyurcsany, primo ministro ungherese nel 2006, che lo ha definito come l'ungherese più famoso del ventesimo secolo. Più di Zsa Zsa Gabor o di Laszlo Birò (l'inventore della penna a sfera), meglio di Harry Houdini oppure Bela Lugosi, l'attore che impersonava Dracula in Bram Stoker. Nel momento in cui il calcio diventa icona pop, movimento di massa, Puskas ha rappresentato la parte bella di un'Ungheria rinchiusa nella morsa del post seconda guerra Mondiale, con il comunismo alle porte di Budapest e la potenza comunicativa di diventare campione.

Manipolo di ragazzini - Nato ovviamente a Budapest nel 1926, il suo cognome reale sarebbe Purczeld, perché padre tedesco e denominazione magiarizzata a undici anni, appena prima dello scoppio della seconda Guerra Mondiale. All'anagrafe è segnato al 2 di aprile, in realtà venne al mondo il giorno prima: i genitori preferirono evitare che la nascita del proprio figlio coincidesse con il Pesce d'Aprile. Nelle strade della capitale ungherese trova Jozsef Bozsik e Laszlo Kubala, altri due fra i migliori calciatori ungheresi di sempre, iniziando poi nel Kispest, allenato da suo padre e prendendo lo pseudonimo di Miklos Kovacs per evitare le norme minime dell'età, giocando sin dai dodici anni. Nel giorno del suo esordio, avvenuto contro il Nagyvaradi all'età di sedici anni, prendendo il nomignolo di Ocsi (fratellino). Nel 1948 il club viene rilevato dal Ministero della Difesa, trasformando il nome in Honved e portando anche Zoltan Czibor e Sandor Kocsis. Non c'era la Champions League, ancora, altrimenti quello che era una sorta di nazionale avrebbe potuto portare a casa qualche Coppa: cinque campionati, quattro volte capocannoniere, nel 1947-48 segna addirittura 50 gol in stagione, un'enormità. Alla prima edizione del Pallone d'Oro arriva quarto - vinse Stanley Matthews - e in totale siglò 357 gol in 354 partite, con la straordinaria media di più di uno a partita.

La maledizione svizzera - Non c'era solo il club di appartenenza, ma anche la Nazionale. L'Honved era la base su cui si poggiava la squadra d'oro, l'Ungheria rimasta imbattuta per 31 partite consecutive. Gli altri grandi interpreti di quella formazione erano Zoltán Czibor, Sándor Kocsis, József Bozsik, e Nándor Hidegkuti. Un oro all'Olimpiade - con quattro gol dai quarti alla finale - e soprattutto il ruolo di grandissima favorita per il Mondiale di Svizzera 1954. Grandi batoste a Wembley all'Inghilterra, 3-6, ma anche lo 0-3 inflitto all'Italia all'inaugurazione dello stadio Olimpico, quando segnò due gol. Poi i Mondiali: 9-0 alla Corea, con una doppietta, 8-3 alla Germania nel primo turno, con un gol, poi l'infortunio per un'entrata killer di Liebrich che gli sbriciola la caviglia. Salta così quarti e semifinale, ritrovando la Germania in finale: 2-0 al primo tempo, 3-2 finale per i teutonici, con un 3-3 annullato e le ombre del doping il più delle volte sbandierate negli anni successivi.

La non morte e l'esilio - Nel 1956 scoppia la rivoluzione ungherese e Puskas viene dato per morto, tanto da venire fermato in Austria perché le notizie appaiono irrevocabili. Invece il centravanti è vivo e vegeto e, dopo avere disputato una serie di amichevoli in giro per l'Europa, deve affrontare l'Athletic di Bilbao negli ottavi di Coppa dei Campioni. Andata persa 3-2, ritorno giocato in campo neutro a Bruxelles e pareggio per 3-3. Quando il Governo intima alla Honved di rientrare, lui preferisce disertare e per questo riceve una squalifica biennale che lo porta a essere senza squadra, nonostante la Honved continui nella tournée di amichevoli. La sua famiglia riesce a emigrare a Vienna e raggiungerlo a Milano, salvo poi stabilirsi a Bordighera. Qui il destino raccoglie un testimone, perché Renato Bonardi, un dirigente del Signa 1914 (Firenze) cerca di agire da novello intermediario per un passaggio di Puskas alla Fiorentina. Andò al Real Madrid, vinse molte Coppe Campioni e segnando miriadi di gol. Però giocò un'amichevole con la maglia del Signa, nel gennaio del 1958, contro l'Empoli, vincendo per 3-0 e senza segnare.

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