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#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Masopust, prima di Nedved. Fino al cuore di Pelè

di Marco Conterio
#iorestoacasa - Tuttomercatoweb.com propone ai suoi lettori delle storie di calcio per tenerci compagnia in queste giornate tra le mura domestiche
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Josef Masopust è uno di quei nomi tramandati ai posteri e rimasti nei taccuini e nelle memorie dei cultori. Uno di quelli che avrebbero meritato certamente più gloria e che pure l'avrebbero ottenuta, se avessero scelto altri meridiani dove giocare. Invece Josef scelse di giocare una vita in patria, in quella che è una delle nobili decadute per eccellenza del pallone mondiale. Il Dukla Praga, la squadra dell'esercito cecoslovacco. Quasi quattrocento partite da calciatore, tre anni da allenatore, una semifinale agli Europei con la Nazionale, una finale persa contro il Brasile nel 1962, un Pallone d'Oro, il premio di miglior calciatore della sua nazione di sempre. Più di Pavel Nedved, Furia Ceca, suo erede sul trono del mondo individuale. Ma mai come Masopust.

Il primo grande regista Josef Masopust è un calciatore che tatticamente oggi sarebbe a metà tra il regista e la mezzala d'inserimento. Un geometra, forse un Andres Iniesta, a tratti uno Xavi Hernandez. E' un antesignano delle rette e degli spazi nel rettangolo di gioco, pur alla guida di una Nazionale che non era certo quella di Pelè e neppure nella sua provincia. Dribbling, assist, efficacia, sostanza, qualità. Rivederlo oggi, in filmati color seppia, vecchi ricordi del pallone che fu, racconta di un primorde todocampista, di uno che vedeva oltre lo specchio del futuro del calcio, pur seduto su una mappa lontana dall'epicentro del mondo.

Leader del Dukla Col suo club, dove rimase dal '52 quando arrivò dal Teplice, fino al '68, quando decise di provare l'ebrezza di una chiusura di carriera in Belgio al Molenbeek, vinse tutto. Otto campionati e tre Coppe di Cecoslovacchia ma nulla, col suo club, lontano da Praga. In Coppa Campioni non arrivò mai oltre i quarti di finale perché, nonostante Masopust, quella squadra era quel che era. Però c'era la Nazionale. C'era la Cecoslovacchia, all'apice di una generazione d'oro. Per Pepik, questo il soprannome che gli dettero i tifosi, era il secondo Mondiale quello giocato in Cile. In panchina Vytlacil, in campo un undici capace di arrivare a un passo dalla gloria. E sul tetto del mondo ci arrivò pure per pochi minuti, quando a Santiago, in finale, siglò il parziale 1-0 che trafisse Gilmar. Campioni per un istante, come nel 1934, quando a sorridere fu l'Italia. Poi Zito, Amarildo, Vavà, e il pallone che rotola sempre dalla parte dei brasiliani.

Il Pallone d'Oro "Per mostrare il trofeo ai miei tifosi, me lo portai allo stadio di Praga, in tram, dentro una busta di plastica". Altri tempi e altra storia, Pepik arrivò così al suo stadio, davanti ai suoi tifosi, per alzare il trofeo più ambito. Il Pallone d'Oro. La giuria di France Football glielo assegnò dopo il Mondiale del 1962, perso in finale contro il Brasile, ma premiandolo prima di Eusebio, Perla Nera, prima di Karl-Heinz Schnellinger, in una classifica dove Gianni Rivera arrivò sesto e Omar Sivori undicesimo.

Aspettando Pelè C'è un episodio, rimasto agli annali, e che dalle parti del Na Julisce di Praga spesso risuona tra i vecchi appassionati. In quella finale di Santiago del Cile, Edson Arantes do Nascimiento s'infortunò ma allora i cambi non esistevano. Sceglievi quegli undici e quelli restavano. Puntò Masopust ma questi non gli si fece incontro per contrastarlo. "Quello è stato uno dei gesti più belli del calcio. Un atto di fair play, del quale oggi si parla tanto. Una vera dimostrazione di rispetto per le persone, un gesto che non dimenticherò mai".

Il riconoscimento che merita Masopust, per quel che ha fatto, per quel che è stato, avrebbe meritato certametne di più fino ai tempi nostri. E' scomparso nel 2015 e con lui anche buona parte della memoria del più grande giocatore d'ogni tempo di Cecoslovacchia. Uno che è stato fonte d'ispirazione per Michel Platini, che è stato applaudito da Pelè, che ha battuto Eusebio, che è stato uno dei più grandi calciatori di sempre, nell'Est Europa. Da allenatore non vincerà niente, la Cecoslovacchia lo chiamò pure alla sua guida tra il 1984 e il 1987 ma restò fuori da ogni grande competizione. Resterà per sempre il prototipo del centrocampista moderno, uno che O'Rei ha raccontato così. "Masopust era un trequartista di tale tecnica, da dare l’impressione di essere nato in Brasile, non in Europa. Un tipo di giocatore alla Platini, alla Beckembauer, paragonabile oggi a uno come Xavi. Soprattutto un uomo di grande intelligenza anche fuori dal campo”.

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Domenica 5 Maggio 2024
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