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Infantino: "Mondiale biennale? Anche gli Europei possono giocarsi ogni due anni"

di Ivan Cardia
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© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport

“Anche gli Europei potrebbero disputarsi ogni due anni”. Parola di Gianni Infantino, presidente della FIFA, intervenuto sulle frequenze di Radio1 durante Radio Anch’Io Lo Sport, torna sulla sua proposta di giocare i Mondiali di calcio ogni due anni. Si parte però dalla proposta di intitolare l’Olimpico a Paolo Rossi: “Non esiste essere contrari a Pablito, tutti gli italiani in Italia e all’estero come me dobbiamo sostenere questo progetto. Stadio Olimpico Paolo Rossi andrebbe benissimo: nessuno come lui ha avuto un impatto così positivo su tutta una generazione di italiani. Con la sua semplicità ha dimostrato che l’impossibile può diventare possibile. Io avevo dodici anni nel 1982 ma me lo ricordo benissimo e posso dire che per tutti gli italiani all’estero ha rappresentato qualcosa di eccezionale. Da quel momento ci hanno guardati come qualcosa di diverso. Quella rivalsa ha avuto un impatto incredibile su tutta la mia generazione. Per me intitolare lo stadio principale d’Italia a Paolo Rossi va fatto e va fatto in fretta, mi complimento con chiunque debba farlo. Penso che sia dovuto e che i giovani debbano ricordare Pablito”.

Lei è un grande sostenitore del mondiale biennale. Perché sarebbe meglio?
“Vorrei chiarire una cosa. Non è una proposta Infantino, né della FIFA: è stata richiesto alla FIFA da parte del Congresso della FIFA, di 166 Paesi nel mondo, di fare uno studio di fattibilità. I presupposti devono essere chiari: l’88 per cento, tra cui anche i Paesi europei, ha votato per fare uno studio di fattibilità. Per la FIFA pensare a qualcosa, che sia il mondiale o altro, da disputare ogni due anni è una cosa chiave. Abbiamo fatto uno studio serio, che dimostra che a livello sportivo funziona o funzionerebbe: ci sarebbero meno partite di nazionali, ma di maggiore impatto, che creano l’emozione del mondiale. L’Italia partecipa molto spesso, ultimamente no però spesso sì: l’impatto che ha la partecipazione per un Paese è importantissimo. Molti Paesi del mondo non hanno questa fortuna: quando fu deciso che il mondiale dovesse giocarsi ogni quattro anni c’erano quaranta Paesi al mondo che giocavano a calcio, oggi sono più di duecento. L’impatto economico anche sarebbe positivo, per tutti: per quelli che hanno di più e per quelli che hanno di meno. Però quello che conta è che è un progetto a protezione dei campionati nazionali, perché ci sarebbero meno soste per le varie partite delle nazionali mantenendo il numero di partite. E anche per i calciatori stessi: ci sarebbe una pausa dopo il mondiale, a luglio, di almeno tre settimane, per poter recuperare, cosa che oggi non esiste”.

Sembra che la tendenza sia verso il calcio globale. È così o anche i benefici economici pesano molto?
“È assolutamente questo, lo sviluppo del calcio a livello mondiale. Wenger, che segue questo progetto, dice che se ci fossero oggi cinque Paesi europei e 13-14 africani, la visione sarebbe un po’ diversa. La partecipazione è importante, lo sviluppo del calcio è importante. Gli studi dimostrano che in Europa c’è contrarietà: in Italia, così come in Inghilterra o Spagna, c’è il mondiale ogni settimana grazie al campionato. Nel resto del mondo no”.

E gli Europei che fine farebbero?
“Potrebbero anche questi avere luogo ogni due anni”.

Il percorso di avvicinamento a Qatar 2022 è stato scandito anche dalle denunce delle ONG sul trattamento dei lavoratori. Cosa farà la FIFA?
“Ci sono progetti già messi in atto in Qatar, non soltanto per i lavoratori del mondiale ma tutti i lavoratori. Sono stati introdotti minimi stipendiali, protezioni per i lavoratori: sono stati fatti progressi enormi, e non lo dice la FIFA ma i sindacati internazionali. Sono loro a dire che, senza l’impatto del Mondiale, questi progressi non sarebbero avvenuti. Penso sia importante riconoscere i passi avanti che vengono fatti: come per il mondiale ogni due anni, il discorso dell’inclusione, del dibattito, della consultazione è quello di portare il mondo in Qatar e far vedere che ci sono stati cambiamenti positivi. In Europa ci abbiamo messo qualche secolo per metterli in atto, in Medio Oriente vengono realizzati in pochi anni”.

È possibile prevedere che i supplementari, in caso di parità, seguano i rigori anziché precederli?
“Abbiamo appena vinto l’Europeo ai rigori, con un’emozione incredibile. Scherzi a parte, è un dibattito di cui si parla spesso. Vediamo, è vero che i rigori sono una lotteria ma sono anche fonte di emozione incredibile”.

Quando si prenderà una decisione definitiva sul mondiale biennale?
“Non è questo il punto, io sono contento di aver rimesso al centro le nazionali, si parla sempre dei club. Ci prenderemo il tempo che serve per discutere, per vedere se si può spezzettare di meno il campionato nazionale. L’importante è rispettare le opinioni di tutti, che non sia soltanto un gruppo ristretto di persone a discutere il futuro del calcio”.

Qatar 2022 rischia di non avere l’Italia. Che impatto avrebbe l’assenza degli azzurri?
“Beh, già nel 2018 l’Italia purtroppo non si è qualificata per i mondiali e abbiamo vissuto un mondiale eccezionale. Se non dovesse qualificarsi, sarebbero dodici anni senza mondiale in Italia: una generazione che non vivrebbe questa emozione. Però nel gironcino ci sono quattro playoff: si qualificherà chi meriterà. Quindi in bocca al lupo a Italia, Portogallo, Macedonia del Nord, Turchia e tutti gli altri”.

Non le sembra che la tecnologia finirà per darci un calcio tecnologico e televisivo che sarà lo 0,5 per cento di quello praticato al mondo, creando troppo distacco? Non si rischia di correre troppo e abbandonare la massa?
“Sono d’accordo, perché dobbiamo riuscire a trasmettere l’emozione del calcio ai ragazzi. Oggi il nemico non è il mondiale ogni due anni, ma sono tutte le attività che i giovani hanno al di fuori del calcio. Dobbiamo trasmettergli l’emozione del calcio: per questo dobbiamo essere innovativi con le regole, senza distruggere il calcio. Anche nel caso del VAR serve buon senso: deve essere l’arbitro a decidere, perché deve rimanere questo aspetto umano ed emotivo”.

La possibile novità all’orizzonte sembra il tempo effettivo. A che punto siamo?
“Penso che vada studiata. Io sono tradizionale ma moderno nello studio e nel non avere tabù. Oggi uno dei problemi migliori del nostro calcio è che, appena c’è un piccolo fallo, soprattutto se la sua squadra vince, il calciatore va a terra e non si muove più come se fosse stato fulminato. Cosa che per la cronaca nel calcio femminile non esiste. Si può ridurre pensando al tempo effettivo: non è possibile che le partite durino 48-49 minuti. Non so se il cronometrista possa essere una soluzione, personalmente ero contrario al VAR all’inizio però poi l’abbiamo studiata e abbiamo visto che aveva dei beneficiati. Qualsiasi cosa possa aiutare il calcio ben venga, per esempio anche la regola del fuorigioco per dare qualche vantaggio agli attaccanti. È una cosa che stiamo studiando”.

In questo anno la giustizia europea potrebbe dare il via alla Superlega. Ci sono tantissime competizioni, si gioca tantissimo. Come può inserirsi un mondiale biennale in questo scenario?
“Beh, l’importante è dare più partite importanti. Per fare il numero di partite che la Lega Serie A organizza in un anno, la FIFA ci mette trent’anni. Non penso che un mondiale in più cambi le cose, l’importante è dare tempi di riposo ai calciatori, farli viaggiare di meno, tutelare la salute e riuscire a trovare la soluzione ideale per tutti”.

Però i campionati perderebbero inevitabilmente appeal e oggi sono la competizione più seguita del calcio.
“Mah, per un Paese come l’Italia che ha i migliori giocatori che giocano nel suo campionato, sicuramente. Per l’ottanta per cento della popolazione mondiale il discorso è un po’ diverso”.

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