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Il Manchester City batte il Dortmund 2-1 trascinato da uno stellare Kevin De Bruyne

di Marco Conterio
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© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport

Il Manchester City vince il primo round ai quarti di Champions League contro il Borussia Dortmund per 2-1 in una gara di gioventù, colpi geniali e con un finale che sembra una corrida. E vede Josep Guardiola i Sala da Santpedor come matador del gigante giallo. La spada con cui trafigge l'avversario fa un gol e apre le danze per il raddoppio finale si chiama Kevin de Bruyne e viene da Gand che è terra di ciclismo. Da lì parte una delle classiche che finisce a Wevelgem e che è terreno fertile di velocisti: afferrano la scia e poi, al momento giusto, si lasciano prendere a schiaffi dal vento. Il belga decide di far così come tre volte Cipollini e tre Tom Boonen: Emre Can sbaglia un passaggio, De Bruyne sale sui pedali e sfreccia via. Mahmoud Dahoud, in mezzo, come il fuggitivo della prima ora oramai senza acqua nella borraccia e aria nei polmoni, allarga il braccio nel disperato tentativo d'afferrarlo. La palla va a Phil Foden, che ha vent'anni ma la lucidità dei grandi come dimostrerà nel finale. Il ragazzo di Stockport, a sud est dalla sua Manchester e che racchiude la quintessenza del calcio totale di Guardiola, calcia la palla forte al centro. Dall'altra sponda del fiume c'è Riyad Mahrez, uno di quelli della storia a Leicester, attore protagonista. Stoppa, rientra, vede De Bruyne che è sulla linea del traguardo che lo aspetta: la palla a rimorchio, il tocco, è tutto in un attimo e le braccia al cielo sotto il primo traguardo.

Haaland contro Stones Dall'altra parte c'è Erling Braut Haaland, del quale tanto si sta scrivendo e per il quale tutto pare un gioco. Tutto tranne che il calcio, che prende molto sul serio. E' figlio di calciatore, Alf-Inge Haaland, che ora circumnaviga l'Europa in compagnia di Mino Raiola per procacciare offerte più ricche e un futuro più dorato per il figlio. Un tempo era calciatore ma Roy Keane, per vendetta, decise di mettergli fine con un intervento assassino quando il norvegese giocava proprio nella sponda blu di Manchester. Quella che stasera Erling ha sfidato: quarantacinque minuti di sbracciate, di sgomitate, poco più che un accenno di brivido per i padroni di casa. A tenerlo a bada c'è John Stones, che nel cognome racchiude la sua durezza e che viene da Barnsley. La sua è una terra di minatori che non hanno paura di sporcarsi le mani e di fini vetrai, che sanno come lavorare la materia prima. Spallate con Haaland, rifiniture delicate. Lui se la cava, meno Ruben Dias che subisce la prima sveglia di Haaland: è il cinquantasettesimo quando Dahoud vede un pertugio nell'oscurità delle maglie inglesi. Il norvegese s'infila, come un salmone contro la corrente: il portoghese va di spalla, larga, ma nel confronto fisico crolla come un pivello. Ederson para ma l'avviso è in cassetta.

Maggioranza Guardiola Il City gioca da City, ovvero da squadra che è abituata ad aver sempre la maggioranza. Senza paura di legiferare, la formazione di Pep Guardiola attacca e pressa con tanti uomini pure in vantaggio e l'ingresso di Gabriel Jesus al posto di un appannato Bernardo Silva, è un manifesto. Al sessantacinquesimo Marwin Hitz, che dei ventidue in campo e pure dei sostituti è certamente il meno celebre, si supera: Foden conclude a botta sicura, con un'altra palla rimorchio di Mahrez. Lo svizzero si tuffa e neutralizza. Però l'inglesino è merce pregiata, lui e De Bruyne diventano padroni della partita e sono quelli che più d'ogni altro si fanno vedere e apprezzare. Haaland scuote la testa, quando all'ottantesimo un compagno lo serve sin troppo in profondità.

Reus segna, Foden decide Il Dortmund non è bello e neppure si piace però c'è. E' vivo. E segna. All'ottantatreesimo, la palla finisce sui piedi del norvegese e stavolta la difesa del City non si fa trovar pronta. Non è in area, sicché non può far valere la sua arma migliore. Così preferisce servire in profondità per Marco Reus, che in vita sua è stato mille volte in copertina e pure sui videogiochi ma ha raccolto meno di quanto meritato: mai un campionato, mai un trofeo europeo. Sicché l'esultanza, con la fascia da capitano, è ancor più bella, quando s'incunea tra le maglie inglesi e davanti a Ederson ha la freddezza di chi non ha timore d'esser profeta con la maglia della sua città. Storie di chi segna nella sua città. Poi tocca a Foden. Lo fa al novantesimo, dopo che De Bruyne dipinge un arcobaleno, dopo che Gundogan stoppa, passa e l'inglesino segna. Guardiola sospira, perché la maledizione dei quarti s'aggirava ancora minacciosa.

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