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Fiorentina, Pulgar: "Gran lavoro di mister Italiano, la squadra è unita e non esistono posti fissi"

di Giacomo Iacobellis
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© foto di Federico De Luca

In occasione del suo ventottesimo compleanno, la Fiorentina ha pubblicato sul suo sito ufficiale una lunga intervista al centrocampista Erick Pulgar. Di seguito le sue dichiarazioni.

Quali sono i suoi ricordi più belli dell'infanzia legati al calcio?
"Non mi definirei anziano, ma sicuramente il tempo che ho trascorso in Cile è quello a cui sono legati i ricordi a cui sono più affezionato. Giocare a calcio per strada, tra le macchine, con gli amici. Ad Antofagosta vivevo nella parte alta della città, quindi quando il pallone rotolava dalla collina dovevamo andare a cercarlo lontano da casa. Quelli sono i miei ricordi più belli. Sul petto mi sono tatuato la via in cui vivevo e una frase che mi ricorda quel periodo".

Cos'è per lei il calcio?
"È una passione. Amo il calcio dal giorno in cui sono nato, e si può dire la stessa cosa per mia madre. Lei aveva sempre un pallone con cui potevo giocare e anche quando non lo aveva trovava qualcosa che potessi usare come pallone".

Quanto è importante la sua terra, ovvero il Cile?
"Sicuramente sono molto legato alla famiglia, agli amici, al quartiere in cui sono cresciuto. La lontananza a volte fa venire malinconia. Quando si avvicina il momento di tornare in Cile, nel mio caso per i raduni della Nazionale, per rappresentare il mio Paese, è un orgoglio per me e per la mia famiglia. Condividere lo spogliatoio con giocatori storici della Nazionale cilena è per me ragione di orgoglio e una grande occasione di imparare, sia a livello calcistico sia personale. Per me che sono un centrocampista giocare al fianco di Vidal è un onore enorme. Giocare accanto a giocatori come lui e Charles Aránguiz è incredibile. Sono giocatori storici e, come dicevo, sono grato di poter giocare con calciatori del loro calibro".

Ci racconta un po' i suoi tatuaggi?
"Uno dei miei tatuaggi raffigura il quartiere in cui vivevo, ho anche i nomi dei miei fratelli, di mia mamma, di mio padre e lo stemma della squadra del mio quartiere, quella in cui ho cominciato a giocare: si chiama Miramar Sur Este. Ho anche tanti tatuaggi che hanno un significato religioso, la mia famiglia è credente; ho inoltre il tatuaggio di una preghiera per la mia famiglia e i miei amici, ossia le persone che sono con me nei momenti positivi e in quelli negativi".

Che rapporto ha con i suoi amici che vivono in Cile?
"Da quando sono calciatore professionista siamo distanti, questa è l'unica cosa che è cambiata rispetto a quando vivevo in Cile. Quasi tutti i miei amici erano miei vicini di casa. Adesso ci sono i social, abbiamo un gruppo su Whatsapp con i gli amici d'infanzia. Ci teniamo in contatto grazie a quello".

Come è diventato calciatore?
"È sempre stato il mio sogno. A scuola non ero molto bravo. Grazie a Dio sono stato fortunato, mia mamma mi ha permesso di continuare a giocare a calcio. È arrivato un momento in cui sono stato costretto a scegliere tra la scuola e il calcio, perché gli orari degli allenamenti coincidevano con quelli delle lezioni. Ho detto a mia mamma che volevo diventare professionista, le ho chiesto di poter lasciare la scuola per inseguire il mio sogno. Grazie a Dio è andata a bene, grazie ai miei sforzi e alla mia perseveranza".

Quanti sacrifici deve fare un calciatore?
"La vita del calciatore a volte è difficile. Credo che uno dei sacrifici più grandi, di cui però non mi sono mai lamentato, è stato quando per andare da casa mia al centro dove ci allenavamo camminavo 30-40 minuti. Dal lunedì alla domenica, tutte le mattine dovevo fare quella strada a piedi. Lo ricordo come uno dei momenti migliori della mia vita. Non mi sono mai lamentato di dover camminare 40 minuti, perché stavo inseguendo il mio sogno. Sapevo che quella era la mia strada".

Come è diventato così bravo sui calci piazzati?
"Il periodo che ho trascorso a Bologna è stato sicuramente quello in cui mi sono allenato di più sulle punizioni, sui calci d'angolo e i rigori. Ci allenava Sinisa Mihajlovic, che è un amante dei calci piazzati. Una volta alla settimana ci allenavamo 40 minuti-un'ora a calciare punizioni, rigori e calci d'angolo".

Che cosa vuol dire essere un centrocampista?
"Quello del centrocampista non è un ruolo facile. Si gioca nel centro nevralgico del gioco, il luogo da cui iniziano tutte le azioni. Bisogna stare molto attenti, bisogna guardarsi le spalle e allo stesso tempo pensare ad attaccare. L'unico consiglio che mi sento di dare è di avere una visione a 360° di quello che succede in campo. Bisogna sapere in qualsiasi momento se il compagno è libero, per poter giocare di prima. Devi saper fare tutto bene, al minimo errore si rischia di perdere palla nella propria metà campo e di concedere un'occasione in fase offensiva agli avversari".

Ci può spiegare la scelta del numero di maglia e la decisione di avere il nome dietro invece del cognome?
"Avevo scelto il 78 perché avevo chiesto su Whatsapp, sul gruppo di famiglia, che numero preferivano scegliessi e tutti mi avevano risposto dicendo il giorno del loro compleanno. Alla fine quindi avevo scelto l'anno di nascita di mia madre. Adesso invece ho scelto il 15, che è uno dei miei numeri preferiti e il giorno del mio compleanno. Quella per cui scelgo di mettere 'Erick' sulla maglietta è una storia abbastanza lunga. Pulgar è il nome di mio padre biologico, con il quale non ho mai avuto molti contatti. Sono stato cresciuto dal mio patrigno, Pablo Araya, che reputo il mio vero padre. Lui è una persona a cui sono molto grato, è stato anche lui calciatore professionista. Ho sempre pensato che non avesse senso giocare con il nome di mio padre biologico sulla maglietta, perché non mi ha mai aiutato. Ho quindi scelto così per dare più risalto a Erick, la persona".

Che rapporto ha con sua madre?
"L'unica persona che mi conosce davvero, che ha condiviso con me tutto sin dalla mia nascita, è mia madre. Lei è la persona che ha lottato per dare il meglio a me e ai miei fratelli".

Quanto è importante l'ambizione nel calcio?
"L'ambizione è molto importante. Una persona poco ambiziosa non ha obiettivi, è difficile che riesca a migliorarsi e a raggiungere qualcosa di importante. Come detto penso che ogni giocatore abbia degli obiettivi a cui aspira, dei sogni. Una persona che ha un sogno è disposta a lottare per ottenerlo. Penso che maggiori sono l'ambizione, la dedizione e la voglia di competere di una persona, maggiore è la sua disposizione a lottare".

Che cosa pensa di Firenze e della stagione della Fiorentina?
"Se continuiamo a giocare come stiamo facendo e a essere così uniti possiamo fare bene. Italiano sta facendo un gran lavoro, siamo una squadra molto unita. Lavoriamo molto bene durante la settimana e non esistono 11 titolari fissi. Ci sono due o tre giocatori per ruolo che se la giocano per il posto dall'inizio. Questo riflette il lavoro di mister Italiano, è riuscito a rendere partecipi tutti i giocatori. Non ci sono titolari indiscutibili, tutti devono conquistarsi il posto e questo fa sì che la squadra sia motivata ad allenarsi bene durante la settimana. Con le persone di Firenze il rapporto non può che essere stupendo, ci sostengono sempre quando siamo in campo. Adesso che negli stadi è tornato il pubblico penso che si veda il cambio nell'atteggiamento della squadra. Sono stato costretto a seguire la squadra dalla tribuna per infortunio e ho notato che il sostegno dei tifosi non manca mai. Non smettono mai di cantare e di incitare la squadra. Questo ha fatto stare bene anche me, che ero costretto a stare fuori, e penso che per tutti in campo sia una carica in più".

Quanto è importante per un calciatore la fiducia dell'allenatore?
"È sicuramente importante. Penso però che prima di tutto sia il calciatore a dover credere in se stesso. Parte tutto da lì. Se hai fiducia in te stesso e sai che in te credono anche l'allenatore, la società e i tuoi compagni, ti senti molto meglio".

Quali sono il cibo e le bevande che preferisce?
"In Cile non si beve molto mate, ma adesso sempre più persone stanno iniziando. Da noi in spogliatoio ci sono Lucas, el Chino, e Nico che lo bevono sempre, quindi ne beviamo anche noi. Del cibo italiano sicuramente non ci si può lamentare, qui si mangia bene. Sicuramente però mi manca il cibo cileno, soprattutto il cibo di mamma. I miei piatti preferiti sono la cazuela, el mote guisado e i porotos, i fagioli. I piatti della mamma sono sempre i migliori".

Che cosa le piace fare nel tempo libero?
"Qui a Firenze nel tempo libero ho cercato di scoprire un po' la città. Mi piace anche stare con i miei amici. Sono un fan dei videogiochi. Mi piace Call of Duty e sto iniziando a fare live su Twitch. Nel tempo libero ascolto tanta musica e gioco ai videogiochi. Mi piacciono tanto i documentari. Tra le serie TV che ho visto recentemente c'è 'El Cartel de los Sapos: el origen'. Mi piace quel genere di serie, dove si tratta il tema della mafia, della guerra, cose di quel tipo. Narcos, Gomorra, Peaky Blinders. Mi piacciono queste serie".

Che cosa pensa dei social?
"Il problema secondo me è che quando si vince tutti ti amano, quando si perde automaticamente tutti sono scarsi. Ogni giocatore ha diritto di avere la propria opinione, al dil à di pubblicare foto o no. Io però cerco di non pubblicare molto perché penso che una vittoria non significhi che sei forte, così come una sconfitta non significa che sei scarso. Trovo che il tema dei social sia un po' delicato".

Dove si vede tra 20 anni?
"Non saprei dove sarò tra 20 anni. Non ci penso ancora. Penso molto al presente, al lavoro quotidiano. In futuro ci sarà tempo per continuare a crescere. Non mi immagino nel mondo del calcio. Non penso di avere il carattere giusto per diventare allenatore o vice-allenatore. Preferirei godermi la vita, la famiglia e le persone care".

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