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Fabio Cannavaro: "Calzona? La mente del calciatore del Napoli oggi è un po' inquinata"

di Tommaso Bonan
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Fabio Cannavaro è intervenuto ai microfoni di Radio Serie A, soffermandosi tra le altre cose anche su Spalletti e il Napoli di quest'anno: "La scorsa stagione c'è stato tanto lavoro da parte della società, da parte del suo allenatore e dello staff. Era una macchina perfetta. I miracoli non nascono per caso. Quest'anno è entrata in un vortice di negatività che ha fatto sì che i giocatori iniziassero ad avere più dubbi che certezze. Questo è dovuto non solo al cambio di allenatore, ma anche dalla comunicazione e a tutto quello che gira intorno a una squadra. Questo non ha aiutato i giocatori, non ha aiutato nessuno. È brutto vedere a metà classifica una squadra che ha vinto l'anno prima. Calzona? Fin quando non sei lì non puoi giudicare. La mente del calciatore del Napoli oggi è un po' inquinata: sono passati allenatori con concetti diversi. Non è facile per loro e nemmeno per chi allena, ma tutto quello che c'è intorno dà degli alibi ai giocatori. Ad esempio, la comunicazione: si parla dell'allenatore dell'anno prossimo quando ne hai uno ora".

Allenare il Napoli:
"È solo una questione di tempo, so che se inizierò a fare questo lavoro mi verrà data sicuramente l'opportunità. Per quello che rappresento so di avere delle agevolazioni, perché è normale. Per chi ha fatto una carriera come la mia a volte è più semplice se dimostri quello che vali. Napoli è una squadra che tutti vorrebbero allenare gratis, ha una qualità tecnica superiore ad altre squadre. Ho sempre detto che la panchina del Napoli è un obiettivo. Quest'anno era un'idea più dei media che della società, però io vado avanti per la mia strada: non mi ha regalato mai niente nessuno, ho la testa dura e ho sempre sudato quello che ho avuto. Ero piccolino: ho sempre dovuto saltare più degli altri, correre e lottare di più. Sento ancora il fuoco dentro, quella è la voglia che mi fa stare sereno: aspettiamo".

Sul rifiuto ad allenare la Polonia:
"Ho rifiutato perché credevo mi chiamasse l'Italia? Inconsciamente prima degli spareggi per le qualificazioni ai Mondiali ho pensato: "se le cose vanno male che succede?". Ma poi non è cambiato nulla. Ci ho pensato, ma non avevo certezze. È stato uno dei pensieri che ho fatto quando valutavo la Polonia, avevo solo tre giorni per preparare uno spareggio contro la Russia che poi non si è giocato per la guerra. Il mio rapporto con la Nazionale è un rapporto forte, c'è un'atmosfera magica attorno, non ci rendiamo conto di quello che rappresentiamo nel mondo. Non essere andati ai Mondiali è stato visto come qualcosa di normale, ci siamo abituati e questo mi dà fastidio: ognuno di noi pensa al suo orticello, ma dobbiamo pensare che il valore di un giocatore aumenta quando gioca in Nazionale, oppure quando vince una Champions League. Ma dato che di Champions se ne vincono poche, tanto vale puntare su qualche giovane italiano".

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