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ESCLUSIVA TMW - Zoro sul caso Kean: "Siamo neri, non una razza inferiore"

di Andrea Losapio
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Il 27 novembre del 2005, durante Messina-Inter, Marc André Zoro prese il pallone fra le mani e minacciò di andarsene, dopo aver sentito alcuni ululati e degli insulti a sfondo razzista, ricondotto alla ragione da Adriano, centravanti brasiliano dell'Inter. "Era già capitato tre-quattro volte di essere fischiato e insultato, ma una settimana prima se l'erano presa con Ferdinand Coly, del Parma. Quando ho sentito di tutto ho deciso che bisognava dare una risposta di qualità a questa gente che non sa cos'è il calcio".

E cos'è il calcio?
"Un fenomeno di unione, di pace. Perché insultare le persone? È vero, siamo neri, non posso dire di essere bianco. Ma il paragone con una scimmia è una mancanza di rispetto".

In Italia non è così, basti pensare a Kean di ieri.
"È una questione di educazione, quando gioca in Nazionale non è più nero, quando è alla Juventus lo insultano. Neri siamo neri, è il colore della pelle, ma manchi di rispetto proprio a questo, come fossimo una razza inferiore, perché?".

La politica italiana offre sponde?
"C'era una ministra, qualche anno fa, la Kyenge. È stata trattata in tutti i modi. È un complesso, una mancanza di educazione. Se sei abituato a pensare non tratti così le persone".

Sono passati 14 anni dal suo gesto, non è cambiato molto.
"Perché è una questione culturale. Ci sono delle famiglie dove parlano dei neri come delle scimmie. Un ragazzino cosa può fare se non assorbire? Non si può crescere così, chi aveva 5-10 anni nel 2005 ora ne ha 19 o 24. Se cresci con questa mentalità poi lo riporti allo stadio, non abbiamo risolto niente. Con l'educazione questa mentalità va via, ora si tratta di dare del negro a Kean per destabilizzarlo".

In Francia, invece...
"Ci sono 25 milioni di neri, che giocano in Nazionale. Il paese sta andando avanti, il campionato non è più forte di quello italiano, la Nazionale sì. Non fanno caso al colore, non esiste".

Un anno fa, a San Gallo, se la prendevano con Balotelli con lo striscione "Il mio capitano ha sangue italiano.
"Questa è ignoranza, è sintomo di non sapere vivere con gli altri. Non bisognerebbe dare peso alle piccole cose, vivere insieme è la migliore delle cose. Perché non si può vivere così? Quando giocavo in Italia c'era Matteo Ferrari, mulatto, non credo abbia mai avuto questo problema. Qual è la differenza fra un mulatto e un nero? Quando un bianco e un nero si mettono insieme? Il sangue italiano è questione di cultura ed educazione".

Cosa è successo dopo quel gesto?
"I calciatori si erano dispiaciuti, hanno tentato di calmarmi, di aiutarmi, di appoggiarmi. È stato bellissimo. Solo una volt,a in televisione, c'è stato un politico che voleva strumentalizzare il mio comportamento come un gesto politico. Io non ho mai detto che l'Italia è così. Ma che i tifosi allo stadio si trasformano, non è normale, perché è un luogo dove si potrebbe vivere tranquillamente. Solo due o tre persone volevano fare la figura di Superman, poi è andato tutto a posto".

I social non aiutano, ultimamente.
"È chi insulta a essere diverso, non vedono il solco. Ma hanno un problema".

Come fare per sorpassare questa impasse?
"La FIFA deve trovare una soluzione, una campagna di pubblicità per la sensibilizzazione non è abbastanza. Bisogna educare le persone da giovani. Il razzismo non esiste nel calcio, non ne ha motivo. Kean oggi gioca nella Juventus, domani va all'Inter e sono i tifosi a dire nero di merda, che è una scimmia. Dobbiamo avere un senso sociale, educando i ragazzini".

Cosa fa ora Zoro?
"Sono in Costa d'Avorio, mentre giocavo ho incominciato a mettere in piedi dei business, ho un progetto con lo stato per lo sport nelle scuole. Da noi è morto lo sport, così mi è stato dato questo compito, riorganizzare calcio, atletica, pallamano, pallavolo, karate...".

Realtà difficile?
"Ogni paese ha la propria, in Costa d'Avorio siamo tranquilli, le cose non sono tanto male, cerchiamo di vivere in pace. Sto parlando del campionato nelle scuole, ne organizziamo uno che sia nazionale, potendo raggiungere la finale, come Milan o Juventus".

E come cresce il movimento?
"Abbiamo tanti valori, ma non ci sono i mezzi economici. Io sto creando una accademia su una base di dieci ettari, per crescere i migliori giocatori dai 12 ai 16 anni. Stiamo lavorando molto per giocare alcune competizioni, dal Viareggio al Mundialito, passando per tornei organizzati da Barcellona e Chelsea".

Come mai questi sprechi?
"Ci sono alcune persone che non capiscono nulla di calcio e ora sono al comando di diverse squadre. Non hanno la mentalità, vengono solamente per fare soldi, quando li prendono il calcio muore".

Come è arrivato in Italia?
"Nel 1999, avevo sedici anni, ero in Costa d'Avorio, in mezzo alla strada. Mi ha visto Raffaele Novelli, osservatore della Salernitana, con un altro ragazzo, Koffi. Anche ora si possono scovare talenti che giocano nei campi di periferia, quando hai l'occhio non ci impieghi molto".

La sua esperienza nel nostro paese è positiva?
"Sì, ho vissuto la mia adolescenza a Salerno, con persone come Luca Fusco, all'epoca capitano. Poi Aliberti, che amava il calcio, ha fatto della Salernitana un grande club. La gente ha iniziato ad amarmi, poi a Messina ero già cresciuto, a vent'anni sei un uomo nel calcio. Pietro Franza ha dato tutto. Credo che prima o poi il Messina si riprenderà".

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Lunedì 6 Maggio 2024
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