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ESCLUSIVA TMW - Cusin: "Il mio Iran lo ha capito subito: calcio fermo, conta solo la salute"

di Simone Bernabei
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“Un allenatore è uno sportivo, un professionista. Io non penso alla politica, voglio solo fare calcio e aiutare le mie squadre a crescere, a migliorare”. Una frase apparentemente semplice nei concetti, ma che in realtà nasconde molto. A inizio anno Stefano Cusin ha scelto di volare in Iran, a Mashhad per la precisione. Dove oggi allena il Shahr Khodro Fc, club della massima divisione. E tramite le pagine di TuttoMercatoWeb ha deciso di raccontare la sua avventura, dedicando un’attenzione particolare, e inevitabile, alla delicata situazione attuale di emergenza Coronavirus: “Avevo avuto l’opportunità di andare 3 volte in Iran, quando allenavo negli Emirati Arabi, visto che abbiamo sempre affrontato una squadra persiana nei gironi della Champions asiatica. Per questo ho studiato le squadre, ho visto partite, giocatori e sono rimasto sempre colpito dagli stadi pieni e dal calore della gente. Gli iraniani sono persone semplici, ma molto calorose e aperte”.

La situazione geopolitica della nazione non è mai stato un problema, per lei?
“Io sono un allenatore di calcio e penso a questo. Ho già lavorato in posti considerati caldi, come ad esempio la Palestina. Ma posso dire che spesso l’idea che si ha da fuori è molto diversa da quella che è la realtà effettiva. E io, comunque, non ho mai scelto pensando alle questioni politiche”.

Parliamo di attualità: i grafici che oramai tutti leggiamo indicano l’Iran come uno dei paesi più colpiti dal Coronavirus, quasi al pari dell’Italia.
“Per quello che ho visto, in Iran è semplicemente arrivata presto la percezione reale del pericolo. Già un mese fa abbiamo smesso di darci la mano con gli avversari per evitare possibili contagi e anche durante gli allenamenti avevamo smesso di cambiarci negli spogliatoi, facevano tutto all’aperto. Sono cambiate rapidamente le abitudini di tutti i giorni. I dottori fin da subito aveva guanti e mascherine, ci davano dei kit sanitari ad hoc e ci consigliavano di cambiare spesso i guanti. C’è stata fin da subito cultura e informazione in merito, anche grazie alla tv nazionale e alle radio”.

Nel quotidiano, a lei, cosa è cambiato?
“Io vivo in hotel. Ero abituato a vedere tanta gente, ma nelle ultime settimane non c’era più nessuno, solo io e 2-3 giocatori. Il pranzo non lo servivano più al ristorante, dovevamo chiamare, ordinare e farcelo lasciare davanti alla camera, senza contatti”.

E il calcio, come ha reagito?
“Abbiamo provato a giocare senza pubblico, ma il calcio senza tifosi non può esistere. Nei giorni scorsi, per esempio, doveva esserci lo scontro al vertice fra Sepahan e Persepolis, ma le squadre si sono rifiutate di giocare a porte chiuse. Fin da subito si è capito che il calcio non può essere più importante della salute, quindi si è fermato tutto, allenamenti compresi”.

Sentori su quando si potrà ricominciare?
“Inizialmente credevamo intorno al capodanno, che in Iran è stato 'festeggiato' 2 giorni fa, il 20 marzo. Era evidentemente impossibile, il governo ha limitato tantissimo anche i 3 giorni di festa previsti. Vediamo cosa succederà, di certo non prima della seconda metà di aprile”.

Ai giocatori ha dato dei ‘compiti a casa’?
“Mi pare perfino inopportuno parlare di calcio in un momento così, in cui la gente lotta e i più sfortunati muoiono o perdono i propri cari. Il calcio viene assolutamente dopo e questo ragionamento vale anche per i miei ragazzi. Nessuna consegna, loro sono preoccupati e devono concentrarsi solo e soltanto sulle buone abitudine da mantenere per non diffondere ulteriormente il virus”.

Lei è rientrato da pochi giorni in Italia. Ha avuto difficoltà?
“E’ stato un viaggio lungo. All’inizio ho lasciato passare i giorni, ho cercato di capire, poi quando la situazione è diventata più chiara ho deciso di tornare per star vicino a mio figlio, alla mia famiglia e ai miei cari. Ovviamente con le dovute precauzioni: sono stato in quarantena volontaria in Iran e prima di partire ho fatto il tampone. Sono partito da Teheran, quindi Francoforte e poi Italia, durante il viaggio avevo tutto: mascherine, guanti, gel e mi cambiavo anche i vestiti via via. Ovviamente ho contattato le autorità sanitarie italiane e una volta a casa mi sono messo nuovamente in quarantena”.

Adesso è qua. Ma fino a pochi giorni fa, cosa vedeva e cosa capiva della situazione italiana?
“Da italiano, sono davvero fiero di aver visto lo stato adoperarsi per proteggere la salute delle persone. Mi sono quasi commosso quando, leggendo un sito francese, ho visto un titolo del genere: “L’Italia sarifica la propria economia per proteggere la sua gente”. Mi sono sentito fiero di essere italiano. Da fuori la percezione è di una situazione molto molto grave, ma onestamente non credo sia troppo diversa rispetto agli altri paesi. Forse ci sono solo tecniche e letture dei numeri diversi”.

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Domenica 5 Maggio 2024
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