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ESCLUSIVA TMW - 35 anni dal Verona campione, Di Gennaro: "I segreti di un miracolo sportivo"

di Pietro Lazzerini
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© foto di Federico De Luca

Sono passati 35 anni da uno scudetto che è entrato nella storia del calcio italiano. 35 anni da quel 12 maggio 1985 che permise a una squadra di provincia come l'Hellas Verona, di iscriversi nell'albo d'oro della Serie A con un campionato da favola che ancora fa sognare i tifosi gialloblu e più in generale tutte le piccole dalle grandi ambizioni. Per parlare di questo anniversario, la redazione di Tuttomercatoweb.com, ha contattato in esclusiva una delle colonne di quella squadra ovvero Antonio Di Gennaro: "E pensare che iniziammo la stagione fissando i premi salvezza - sorride l'ex numero 10 ora tra i migliori e più apprezzati opinionisti televisivi e radiofonici con la sua collaborazione con TMW Radio - Pensavamo alla quota 25, che in quegli anni voleva dire salvezza, ma lo facevamo anche per ricordarci il percorso che ci aveva portato a essere una squadra forte. Bagnoli ci diceva sempre che dovevamo guardare al nostro lavoro con umiltà ma che dovevamo avere la consapevolezza di essere una squadra di livello".

All'inizio della stagione, nell'estate del 1984, nessuno avrebbe immaginato il Verona campione d'Italia. Cosa vi ha portato alla vittoria?
"Eravamo una squadra molto coesa che aveva bisogno solo di pochi ritocchi per diventare competitiva. Briedel e Larsena si integrarono subito aumentando la forza fisica e la qualità della rosa, e poi l'esplosione di Galderisi ci aiutò non poco".

Quando vi siete resi conto che poteva essere una stagione diversa dalle attese?
"Vincendo contro il Napoli alla prima giornata abbiamo subito ricevuto un'iniezione di fiducia pazzesca. Vincere contro la squadra di Maradona ci fece capire che avevamo la stoffa per guardare con ambizioni diverse al campionato appena iniziato".

Bagnoli è stato il grande artefice di questa cavalcata, cosa lo ha reso unico?
"Aveva la grande dote di mettere i giocatori nei ruoli che preferivano. Di capire quale ruolo avrebbe fatto divertire il calciatore in questione, così da permettergli di rendere al massimo. Penso a Briegel per esempio, che in Germania giocava come terzino e che il mister trasformò in un centrocampista dal gol facile. Lui diceva sempre che gli schemi vengono da sé se i giocatori rispettano le proprie posizioni. Poi aveva a disposizione giocatori straordinari, come Tricella. Lui insieme a Scirea sono stati i primi liberi che nel corso delle partite si trasformavano in centrocampisti aggiunti. Spesso dava il via ai contropiedi. Un giocatore modernissimo se si pensa al calcio degli anni '80".

Un altro asso nella manica era l'attacco.
"La stagione che è attualmente sospesa a causa del virus ha visto protagonisti Lukaku e Lautaro che tutti hanno elogiato come coppia gol affiatata e completa. Ecco il paragone con Galderisi e Larsen calza a pennello perché loro si completavano e si trovavano in modo straordinario. Per noi centrocampisti, giocare con loro davanti, era un piacere".

Tornando a Bagnoli, anche il lato umano ha influito nel successo di quella stagione?
"Senza dubbio. Vi racconto un aneddoto: un paio di stagioni dopo quella della vittoria, andai da lui per parlargli di alcuni problemi che avevo a casa. Lui si aspettava che andassi da lui solo per parlare di calcio o dei compagni, visto che era capitano, e quando ascoltò le mie parole, rimase colpito. Forse solo in quel momento capì che per noi era diventato quasi come un padre. Sicuramente era parte della nostra famiglia calcistica e ci ha sempre trattato con un'umanità che si è resta fondamentale per i nostri successi. Quella sua reazione stupita e le successive parole, mi fecero più piacere di tutti gli elogi che mi aveva rivolto parlando di calcio".

Negli anni successivi a quella cavalcata in molti hanno attribuito al sorteggio arbitrale integrale di quel campionato, molto merito per la vostra vittoria finale, che ne pensa?
"Mi ricordo che negli anni '90 lavoravo a Firenze per l'emittente di Cecchi Gori e nel corso di un fuori onda di una trasmissione, Claudio Nassi mi avvicinò e mi disse: "Lo sai che avete vinto quel campionato solo perché c'era il sorteggio integrale, vero?". Lì per lì mi diede un po' fastidio, ma Claudio era un toscano verace che ti dice le cose come stanno e nel 2006, quando ripensai alle sue parole in contemporanea con le notizie di Calciopoli, mi sono convinto che forse aveva ragione. Sicuramente il valore della squadra sarebbe comunque venuto fuori, però il sorteggio integrale spianò la strada per mostrare la nostra qualità e per arrivare alla vittoria".

Da un parte la gioia per la vittoria, dall'altra il rimpianto per l'unicità del successo?
"Sì, il nostro rimpianto fu che la società non era certo tra le più ricche e quindi già dall'anno successivo con gli addii di Marangon e Fanna, iniziò a smantellare quanto avevamo costruito. La società a quei tempi non poteva certo competere con le big e quindi doveva cedere i migliori per andare avanti. Se fossimo rimasti tutti, penso che la squadra averebbe potuto ripetersi a grandi livelli anche per diversi anni".

Anche in Europa forse qualche rimpianto ce l'avete.
"L'anno successivo in Coppa Campioni incontrammo la Juventus. All'andata li prendemmo a pallate, Tacconi parò di tutto e finì 0-0. Al ritorno, a Torino, ci furono diversi episodi che compromisero il nostro passaggio del turno. Penso che avremmo potuto dire la nostra fino in fondo al tabellone. In campionato non andammo benissimo perché Bagnoli provò a farci giocare a zona col 4-4-2, ma in Europa che giocavamo col vecchio modulo, andavamo molto forte".

Parlando dei tempi moderni, pensa che prima o poi arriverà un nuovo Verona? Magari il post Coronavirus, con tutti i cambiamenti economici che arriveranno, potrebbe aprire le porte a un nuovo miracolo calcistico.
"La speranza c'è sempre. Mi auguro che questa tragedia faccia aprire gli occhi a tutti i club e che vengano cambiati gli investimenti, soprattutto da un punto di vista degli impianti e delle strutture. L'Atalanta potrebbe essere un modello in tal senso e penso che tramite la conferma dell'allenatore e la forza consolidata della società, possa anche sognare in grande. Un piccolo scudetto l'ha già vinto con il percorso in Champions, ma perché non dovrebbe pensare in grande anche in Serie A? All'inizio di questa stagione ha dimostrato di poter dare noia alle big".

Ci sono altre squadre tra le medio-piccole che un domani potranno cambiare le proprie ambizioni?
"I club più forti si rafforzeranno anche dopo l'emergenza ma per esempio c'è la Fiorentina che con Commisso sta ponendo le basi per un progetto ambizioso e importante. Un progetto a 360° che parte dalla squadra, passa dallo stadio e dal centro sportivo e arriva anche al rilancio dell'immagine internazionale della società. Penso che Commisso dovrebbe essere ascoltato di più dagli altri club, perché può portare un vento nuovo in Serie A e magari anche qualche altro investitore. Spero che a Firenze gli lascino fare ciò che vuole, perché può portare in alto la squadra e dare una mano anche alla città".

L'ultima domanda d'obbligo sulla ripartenza, è d'accordo?
"Stando attenti al massimo alla sicurezza penso che si debba ripartire. Chiaro che i dubbi ce li abbiano tutti, soprattutto i calciatori. Ma se riusciamo a ripartire in sicurezza è giusto tornare in campo. Devono decidere tutti all'unanimità, ci vuole comunione di intenti sia in Lega che in FIGC che col governo. Se ripartirà la Serie A il finale sarà anomalo come il periodo che stiamo attraversando. Mi auguro che ciò possa avvenire e che nel contempo, possano ripartire anche tutte le altre aziende del paese, a cominciare dalle medie e dalle piccole imprese, che sono le più colpite dopo il passaggio di questo maledetto virus".

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Mercoledì 8 Maggio 2024
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