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Abraham: "Non escludo un ritorno al Chelsea. Della Roma ho chiesto a Jorginho e Rudiger"

di Simone Lorini
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Tammy Abraham, attaccante della Roma, ha parlato al portale FourFourTwo, spiegando anche la sua scelta di vestire la maglia giallorossa: "Era arrivato il momento di lasciare il Chelsea e stavo parlando con diversi club in Inghilterra e in Europa. La mia attenzione era rivolta a un certo club londinese, era l'Arsenal. Mio padre è un grande tifoso dell'Arsenal quindi era molto entusiasta, tutto andava bene. Poi José mi ha chiamato, di solito non rispondo mai ai numeri che non ho salvato nei miei contatti: Ciao Tammy, sono José. E io ho pensato: Wow, che sorpresa!. Mi ha chiesto come stava la famiglia. Lo conoscevo bene perché mi aveva visto da bambino al Chelsea. Mi ha chiesto: Sei pronto a lasciare il brutto tempo e venire nella soleggiata Roma? Ho riso, abbiamo parlato un po' di più, mi ha spiegato il progetto e le sue ambizioni. Era a Roma da poco tempo, ma mi spiegò cosa aveva visto e cosa si provava. Ho parlato con i miei agenti e mi hanno detto che non c'erano dubbi, un momento perfetto per iniziare una nuova vita, per andare all'estero e conoscere un'altra cultura. Ero prontissimo e da allora non mi sono più guardato indietro. Ho chiesto dell'Italia a Jorginho e Rudiger e mi dissero che la Roma è un un grande club. Guardavo la Roma in Champions League e mi sono fatto un'idea, venire qui è stata un'esperienza pazzesca. I tifosi mi stavano aspettando anche in aeroporto. Ho preso un volo privato, quindi non sapevano a che ora sarei atterrato. I tifosi erano lì dal mattino. Avere quell'accoglienza è stato pazzesco".

Un eventuale ritorno al Chelsea?
"Nel calcio mai dire mai. In questo momento la mia attenzione è rivolta alla Roma: vogliamo finire al meglio la stagione. Non ho ancora iniziato a pensare ad altro oltre ad essere qui e fare del mio meglio. Non direi che ci sono questioni in sospeso in Inghilterra, non ho fretta. Il calcio non ha luogo, può essere ovunque. Forse resterò alla Roma per i prossimi dieci anni, o forse no. Non si sa mai cosa c'è dietro l'angolo".

Com'è essere allenato da Mourinho?
"José è una leggenda, lo adoro. È quello che noi chiamiamo un vero capo. È un leader. Quando parla, lo si ascolta. Sa come gestire i suoi uomini, è uno dei migliori al mondo in questo. Sa come come guidarti, come entrare davvero nella tua testa. Anche se stai facendo un ottimo lavoro, cercherà comunque di farti fare di più. Non è mai soddisfatto, vuole sempre di più. Prima della semifinale di Conference League contro il Leicester abbiamo giocato una partita di campionato e pensavo di star disputando una bella gara. Ero pieno di fiducia, ma il giorno dopo José mi chiamò in sala riunioni. Avevamo il Leicester dopo due giorni, non c'era tempo per recuperare. Mi disse: Tam, non credo che tu sia stato abbastanza bravo. Nella mia testa pensavo di aver giocato abbastanza bene! Lui disse: Penso che tu possa fare di più. Nessun problema. Quando parla, ascolto sempre e seguo i suoi consigli. Mi ha detto che secondo lui non segnavo abbastanza con la testa, soprattutto dai calci d'angolo. La cosa assurda è che due giorni dopo contro il Leicester, ho segnato un gol di testa da un corner! Ricordo che cercavo di capire come fosse riuscito a farmelo fare. È stato davvero pazzesco. Ne ha parlato due giorni prima e poi ho segnato di testa".

La mancata convocazione per il Mondiale?
"Southgate mi disse che avevo la forma sbagliata al momento sbagliato, che sarebbe stato ingiusto per gli altri giocatori. Me lo aspettavo. È più difficile essere convocato se non giochi in Premier, le partite di Serie A non vengono mostrate in Inghilterra. Non ero in una fase in cui ero in fiducia, quindi me lo aspettavo. Ma ovviamente non è bello sentirsi dire queste cose. Mi stavo ancora abituando ai cambiamenti e all'inizio non mi sono concentrato su me stesso. Se qualcosa andava storto, ero il primo a dare la colpa agli altri invece di sedermi e pensare a cosa dovevo migliorare. A volte se vedi un giocatore come me con la testa bassa, senza fiducia, si ripercuote anche sulla fiducia della squadra. Ho dovuto reagire. Mi sono detto 'Sono un giocatore importante, la mia squadra deve vedermi felice e fiducioso".

Dybala?
"Ogni giorno ci alleniamo insieme, ci facciamo tante risate e questo ci dà i suoi frutti in partita".

Il rapporto con Tomori?
"Tomori è uno dei miei migliori amici. Mi ha fatto uno squillo e mi ha detto che aveva saputo che sarei venuto in Italia. Mi ha detto che che i tifosi sono appassionati, che amano il calcio qui. Ero pronto. Mi sono detto: È il momento giusto, ho l'età giusta. Sono pronto a vivere un'esperienza di calcio nel mondo e non mi guardo indietro. Ho amato ogni momento fino a oggi".

Cibo italiano preferito?
"Il pesto è il mio piatto preferito. Non è romano, ma potrei mangiarlo ogni giorno. Non l'avevo mai mangiato prima in Inghilterra, quindi venire qui è stata la prima volta. Vedere il Colosseo di persona di persona è stata una sensazione incredibile. Quando sono arrivato, tutti parlavano inglese con me, ma con il passare del tempo la gente ha iniziato a parlare più italiano. Sto imparando qualche parola, ma per per qualsiasi cosa che non capisco, chiedo il significato".

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Lunedì 6 Maggio 2024
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