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Nicola Vilella: la tradizione delle novità in casa Romulea

di La Giovane Italia
Fonte: La Giovane Italia (Diego D'Avanzo)
Il presidente del club romano si racconta a 360°: dalle difficoltà al successo
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© foto di Lega Nazionale Dilettanti (LND)

La Romulea esiste da cento anni e dal 1968 la famiglia Vilella è al suo vertice, oggi il suo presidente è Nicola, classe 1986. 35 anni che, per fortuna, rinfrescano quando necessario e non appesantiscono dove potrebbero. Grazie alla formazione di Nicola, alla sua tradizione familiare, allo spauracchio del fallimento e alle decisioni – anche impopolari – oggi la Romulea è tra le migliori Scuole Calcio d’Italia, ma non solo questo.

La Romulea è una squadra storica dal grande passato. Tu entri nel 2007 e vivi da vicino il rischio del fallimento nel 2009, poi incetta di successi negli ultimi anni. Qual è stato un momento difficile e la scelta che ve l’ha fatto superare?
"Uno dei momenti più difficili, escludendo il rischio di perdere il Centro Sportivo nel 2009, è stato quello di eliminare la Prima Squadra nel 2013. Cancellare una formazione che si trovava in Promozione e dal passato storico in Serie D è stata una scelta impopolare, ci hanno criticato, però avevamo un piano: migliorare il settore giovanile. Ci abbiamo lavorato, sono tornati i trofei e infatti abbiamo ripristinato la Prima Squadra. Ci teniamo molto: apporta identità al nostro territorio, dà maggiori possibilità ai ragazzi e instaura collaborazioni con aziende locali".

Di recente hai svolto il primo corso FIGC di “management del calcio” con relatori del massimo livello. Qual è stato l’intervento che più ti ha colpito?
"Abbiamo avuto tante lezioni di grande caratura ma i concetti che ha esposto Luigi De Siervo, amministratore delegato della Serie A, ci hanno fatto capire in che direzione si sta muovendo il calcio. Il Presidente non è più una figura che si accolla l’onere di investire soldi a fondo perduto, bisogna acquisire visibilità per autofinanziarsi e avere introiti diversi. È necessario comprendere gli aspetti del marketing, nel senso più positivo del termine, lasciando però il calcio al centro di tutto"

E nella Romulea, come cerchi di applicare questa visione?
"Abbiamo tanti progetti nel sociale tra cui la Romulea Autistic Football Club, siamo una delle poche squadre ad avere una divisione femminile e disponiamo della sezione E-sport. In questo senso si colloca anche la presenza della Prima Squadra: deve essere un carro trainante per le giovanili, per la scuola calcio e per tutta la società",

Alessandro Silvestro nella Primavera dell’Inter, Flavio Baccacci all’Ascoli U18, Filippo Missori - esordiente in Europa League  con la Roma - ha fatto la scuola calcio da voi. Se dovessi individuare uno “Stile Romulea” in ognuno di loro, quale sarebbe?

"Assolutamente uno stile comportamentale. Tanti giocano a calcio, ma i valori umani ti fanno emergere: predisposizione al lavoro, sacrificio, rispetto. Per agevolare questo processo pensiamo che ci debbano essere delle figure che accompagnino nel medio-lungo periodo i ragazzi, ad esempio gli allenatori, i dirigenti o persone affini che devono rimanere nella società. Così facendo i ragazzi crescono vedendo sempre persone conosciute, con le quali si sentono a loro agio, con cui condividere la vita societaria e, di conseguenza, creare un senso di unità all’interno della Romulea".

Oltre ad essere Scuola Calcio Élite FIGC per il 6° anno di fila, la Romulea è ufficialmente un “centro di formazione Inter” dal 2015. Un’unione di questo tipo non nasce casualmente, i nerazzurri hanno visto qualcosa di diverso in voi.

"La collaborazione è nata grazie alla conoscenza di Andrea Stramaccioni (ex giocatore e poi allenatore nelle giovanili della Romulea N.d.R) e la mediazione di Roberto Samaden (attuale Direttore Generale del Settore Giovanile dell’Inter N.d.R). A loro serviva un punto di riferimento in centro Italia e, dopo 2-3 anni di frequentazioni e scambi di idee, abbiamo pensato fosse la scelta giusta per entrambi. Altre società importanti volevano collaborare con noi, ma l’Inter è stata la decisione corretta. A loro è piaciuto il modo in cui lavoriamo con i giovani calciatori e, a nostra volta, noi abbiamo imparato tanto dai confronti con loro".

In quali aspetti pensi debba migliorare il calcio giovanile italiano?

"Bisogna cambiare la mentalità e la visione, a partire dagli allenatori: ogni azione può essere interpretata dai ragazzi e magari presa ad esempio. Non parlo solo a livello umano ma anche nelle intenzioni di campo: dare eccessiva importanza al risultato per crescere personalmente non è la strada giusta, il cuore del lavoro deve essere il ragazzo e non il successo finale, quello arriva di conseguenza".

Se potessi introdurre una regola che ancora non esiste nei settori giovanili, quale sarebbe?

"Nelle giovanili delle categorie dilettanti toglierei le retrocessioni che, difatti, nei Professionisti non ci sono fino all'Under 18. Questo sistema genera a fine anno delle partite giocate “per non retrocedere” e quindi gli allenatori si adeguano di conseguenza, con palloni buttati lunghi e formazioni che prediligono il giocatore pronto invece di quello in crescita. Se raggiungere la “salvezza” diventa così imminente, come si fa ad aspettare chi ha bisogno di più tempo per formarsi?"

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