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Il caso Acerbi - Juan Jesus resterà a lungo nell'aria

di Lapo De Carlo
per Linterista.it
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La sentenza del giudice sportivo ha chiuso e (paradossalmente) riaperto le polemiche nate dal presunto insulto razzista rivolto da Acerbi a Juan Jesus.
Il fatto è stato, come di consueto, affrontato con la solita polarizzazione, squilibrio comunicativo, teorie cospirative e un’immaturità endemica, come se parlare di razzismo o un calcio di rigore fosse la stessa cosa.
Un’idea ce la siamo fatta tutti e credo più alla tesi che Acerbi abbia rivolto un insulto razzista. Sulla base di una convinzione generale e delle dichiarazioni del difensore napoletano e delle immagini in campo, mi sarei aspettato si auto denunciasse, accettasse la squalifica e togliesse tutti dall’imbarazzo. La mia però è una convinzione empirica, non supportata da fatti incontrovertibili.

La vicenda è semplice nella struttura ma incredibilmente complessa nelle diverse forme in cui è stata vissuta e giudicata.
A termini di legge il giudice ha fatto riferimento alla gravità dell’episodio, come se avesse adottato un criterio più prudente rispetto a quelli ordinari della giustizia sportiva. Questo perché dare la patente di razzista comporta una maggior prudenza nella valutazione di prove che in questo caso erano date dalla sola testimonianza di Juan Jesus. Per dieci giorni però abbiamo sentito dire che l'onere della prova doveva portarla la difesa (Acerbi) e non l'accusa
La risposta legale che ci è stata fornita è che si è ritenuto non totalmente compiuto il processo di denuncia da parte di Juan Jesus e parzialmente ma sufficientemente condotto quello a carico del giocatore dell'Inter, il quale usa la parola in questione ma all'interno di una frase molto depotenziata senza insulto razzista.

Il fatto che la vicenda si sia svolta durante la pausa per le Nazionali implica che il dibattito perpetuo abbia preso un tale sopravvento da ingigantire ulteriormente una questione già grave. Qualunque testata giornalistica, anche straniera, si è occupata della faccenda e questo ha creato confusione.

Ho letto con sconcerto dichiarazioni che, per rafforzare i propri concetti, hanno strumentalizzato ricostruzioni nelle quali veniva dato del bugiardo a Juan Jesus. Una cosa che non risulta sia apparsa su nessuna testata.
La tesi complottista o pelosa che ora piace di più è che i giocatori della Nazionale vengano trattati con riguardo.

Pochi anni fa Lukaku in un derby venne insultato da Ibrahimovic con queste parole: Go to your voodoo shit, you little donkey». Che suona così: «Torna alle tue c… voodoo, piccolo asino». Ibra venne espulso per la colluttazione e accusato di razzismo perché non si capiva se avesse detto “donkey” che significa asino o “monkey”, che invece significa scimmia. Non avendo controprove si optò per asino, Ibrahimovic scrisse un post in cui affermava che il razzismo non gli apparteneva e la questione rimase circoscritta ad un brutto insulto.

E’ una situazione diversa perché non bastano le analogie nel diritto sportivo. Anche in quel caso però un’idea ce la siamo fatta. Ci sono stati altri episodi qualche anno fa, uno di questi riguardava l’ex giocatore dell’Inter Obi. In quel caso finì con la squalifica.

La moglie di Acerbi ha voluto togliersi un peso dopo la sentenza. Ha sbagliato comunicativamente ma quello che ha ricevuto nei giorni precedenti è ancora più ignobile e mostra un altro lato. Decine di messaggi hanno augurato la morte di Acerbi ma soprattutto un tumore ai suoi figli. Personaggi che si indignano per una frase razzista ma augurano la morte a dei bambini, mostrando tutto il disagio mentale di centinaia (migliaia forse) di persone prive di strumenti per giudicare persino il colore di un’auto.
L’Inter, suo malgrado, si è trovata a gestire una faccenda incredibilmente scivolosa ma si è comportata molto bene e, nonostante l’imbarazzo, ha mostrato grande capacità di gestione.

Se il problema fosse solo il razzismo sarebbe più facilmente affrontabile e dunque arginabile anche se non risolvibile nell’immediato. Piacciono molto le soluzioni rapide, dimostrative, perché sono quelle che si sostituiscono alla cultura, in particolare del rispetto. La questione riguarda l’aumento dell’ottusità, una sorta di idiozia sociale, nella quale ognuno si fa le regole che lo deresponsabilizzino sempre.

Dai del negro a qualcuno? “E’ solo una frase buttata lì nella foga. Mica sono razzista”.

Bestemmi? “Ma va, io credo in Dio e poi dalle mie parti la bestemmia è normale”.

Dai del “frocio” a qualcuno? “Io? Ma va, mica è un insulto e poi ho tanti amici gay..”

Evochi il Vesuvio, l’Heysel o Superga? “Embè? Allo stadio queste cose sono sempre accadute, non fare il buonista”.

Il tema è molto più ampio ma è evidente che nessuno si sente responsabile di niente.

La vicenda si avvia alla conclusione dunque ma con queste premesse ne torneranno altre prima di quanto si creda.08


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Sabato 27 Aprile 2024