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Zidane come Ancelotti: il Real divora gli allenatori. Florentino Perez è l'unico intoccabile

di Michele Pavese
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© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

Il Real Madrid logora chi non ce l'ha, ma ancor di più chi ci vive dentro. E lo fagocita, inesorabilmente, come era già successo a Carlo Ancelotti nel 2015. Al mister italiano non bastò aver conquistato l'agognata Decima appena dodici mesi prima per guadagnarsi la totale fiducia e il rispetto di Florentino Perez e dei tifosi: il secondo posto nella Liga e soprattutto l'eliminazione in Champions League per mano della Juventus (in semifinale) portarono a un esonero dal gusto amaro della mancata riconoscenza. Una sorte comune a tanti allenatori, letteralmente in balia delle ambizioni e delle aspettative di un club che non accetta periodi di magra, e che potrebbe toccare anche a Zinedine Zidane, straordinario artefice di tutti i successi dei Blancos negli ultimi quattro anni.

Due campionati, tre Champions League consecutive, due Mondiali per Club, due Supercoppe Europee e due Supercoppe di Spagna: un palmares invidiabile, che dovrebbe garantirgli una sorta di immunità eterna ma che invece, quasi sicuramente, non lo salverà dal licenziamento in caso di eliminazione dalla massima competizione continentale. Tra sabato e mercoledì prossimo Zizou si giocherà il futuro: il Real sarà impegnato prima nella difficile trasferta di Siviglia in campionato (sono già sette i punti di distacco dalla vetta), poi nella decisiva sfida contro il Borussia Mönchengladbach.
Oltre ai freddi numeri, che nel calcio sono importanti ma non sempre indicativi, questa inattesa discesa negli inferi (fa sorridere, ma l'impressione oggi è questa) ha radici molto più profonde: nel 2018, dopo aver salutato Cristiano Ronaldo e lo stesso tecnico transalpino, il Real Madrid si era ritrovato in una sorta di limbo, sospeso tra rinnovamento e necessità di continuare a vincere. E solo grazie a Zidane è riuscito a risollevarsi: l'ex trequartista, da vero innamorato, era corso al capezzale di una squadra demotivata, quasi annientata dopo le esperienze fallimentari di Julen Lopetegui e Santiago Solari. A marzo 2019 aveva interrotto a sorpresa il periodo sabbatico, ricevendo garanzie dalla dirigenza: per tornare al top e dimenticare il fenomeno portoghese, sarebbero stati necessari molti cambiamenti.

Alle parole, però, non sono seguiti i fatti: non c'è stato il salto di qualità atteso e l'ultima finestra di mercato non ha portato alcun rinforzo anche a causa della crisi generata dalla pandemia e degli investimenti folli (e quasi mai redditizi, Hazard su tutti) effettuati nelle ultime stagioni. Il ricambio generazionale tanto atteso non c'è stato, i giocatori più affidabili continuano a essere quelli del quinquennio d'oro. Quando le cose non vanno bene, a pagare è sempre l'allenatore, anche se è uno "di famiglia" come Zidane e nonostante abbia vinto un titolo pesante a luglio.
Un ambiente esigente dovrebbe mettere in discussione anche altre figure, su tutte quella del presidente, che invece sembra davvero intoccabile. CR7 probabilmente lo aveva capito ed è per questo che ha scelto di andarsene, all'apice di una storia meravigliosa, prima di diventare capro espiatorio.

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