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Il problema di Antonio Conte è Antonio Conte

di Marco Conterio
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© foto di Daniele Mascolo/PhotoViews

Antonio Conte da Lecce è un eterno scontento. Un umorale insoddisfatto. Un incontentabile miccia che fa esplodere i cuori ma pure l'anima e i progetti. Ha sparato a occhi chiusi e denti stretti sull'Inter, un altro colpo di pistola su una carriera che ha tanti trofei quanti fori di proiettile. William Shakespeare diceva che "si soffre molto per il poco che ci manca e gustiamo poco il molto che abbiamo" e racchiude tutta l'irrequietezza di Conte. E' la sua avventura da allenatore a raccontarlo, sin dai primi picchetti di Bari quando dopo una firma su un nuovo contratto tolse le tende per incomprensioni sul mercato. Non dipende dalla dimensione del progetto, perché ha lasciato Bergamo, la Puglia, l'Italia, Londra, la Juventus, ora ha fratturato il rapporto con l'Inter. E' il suo animo violento e insoddisfatto a impedirgli di esser cittadino del calcio ma residente in nessuna patria. Il segreto di Pulcinella è che sognerebbe il ritorno alla Juventus ma lì piantò uno sgarbo al cuore di Andrea Agnelli che a differenza della dirigenza al gran completo, ha tolto il nome di Antonio Conte dall'armadietto dei ricordi e non ha ancora intenzione di rimetterlo nel posto di quelli futuri.

Antonio Conte è la sua grande forza e il suo grande limite, una costante inquietudine. E' il rumore dei nemici di mourinhana memoria, che fa prima sfoderare la spada al guerriero ma che dopo farà imbizzarrire il destriero. Solo questione di tempo. Prender Antonio Conte, per una società, è aprire il portone a una tempesta. E' la rottura col passato ma non è sperare di far figliare un progetto, costruire qualcosa che sarà. Conte è lo tsunami, ma anche l'onda più violenta prima o poi si ritrae e torna nel suo mare inquieto, mosso, a scontrarsi con altre scogliere. Sulla terra riparte sempre una nuova vita, ne sa qualcosa la Juventus che in quelle acque ha pescato il ciclo di Massimiliano Allegri.

Antonio Conte è sogni e incubi, la perfetta rappresentazione dell'animo dell'inquieto. Ha una profonda e altissima considerazione delle sue capacità ma dagli abbracci di inizio ciclo, finisce a spintoni e porte in faccia. I giocatori salgon sul suo carro ma guai a vedervi sopra i dirigenti. Si è sentito indifeso, all'Inter, come fu con l'Italia. Con la Juventus la rottura fu diversa, crepe sul mercato e ristoranti da cento euro annessi e connessi. La sua travolgente forza, la sua conoscenza del pallone, l'essere uomo totalizzante, è l'energia che lo porta a diventare condottiero ma a sentirsi anche solo al comando. Da subito, come fatto all'Inter, all'alba di Singapore, quando spronò la dirigenza "in ritardo sul mercato".

Partendo dal presupposto che questo rapporto sia diventato oramai solo un vaso di cristallo in equilibrio sulla precaria sorte europea dell'Inter, è lecito chiedersi perché. E forse non ce n'è uno specifico, nelle intenzioni di Antonio Conte. Perché i suoi j'accuse sono istinto e violenza, cruda, dura, perfino pura. Conte è senza filtri ma c'è da capire se adesso qualcuno vorrà farlo salire ancora sul suo carro. Andrea Agnelli, a oggi, non pare più di questo avviso, seppur del domani di Maurizio Sarri non ci sia certezza assoluta. Pare che brami un ritorno in Inghilterra, ma a Londra col Chelsea son volati gli stracci e in Premier League sono diventati ancor più sensibili a queste tematiche. Aspetta il Manchester United? Chissà, intanto i Red Devils non lo attendono, perché proseguiranno con le ben più lievi note norvegesi di Ole Gunnar Solskjaer. Prendere Antonio Conte, poi, vorrebbe dire accettare tutto questo, ancora una volta. Nel bene, nel male, tsunami e accuse. E' sempre stato così. E' nell'animo di un allenatore inquieto, che ha attaccato tutti senza far nomi, ma facendo intendere e sottintendere. Felicità a momenti e futuro incerto, Antonio Conte. Eternamente insoddisfatto, che siano successi, che siano sconfitte.

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