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Il calcio contro il razzismo. Ma nell'Europa che conta nessun allenatore è di colore

di Ivan Cardia
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Gli eventi di PSG-Istanbul Basaksehir riportano d’attualità un tema, quello del razzismo nel calcio e della lotta che il calcio conduce per debellare ogni discriminazione dai propri terreni di gioco. La condanna nei confronti del quarto uomo Coltescu è stata univoca e fragorosa. Inequivocabile e giusta. Anche col beneficio del dubbio, anche a voler pensare che non fosse in mala fede e che “negru”, in romeno, non abbia accezioni denigratorie, ha sbagliato. Senza se e senza ma. Perché non si può non tenere conto della sensibilità sul tema, che negli anni, per fortuna, è cambiata. E perché nessuno di noi indicherebbe qualcun altro dicendo “quel bianco lì”. La cosa migliore che ci portiamo dietro, dalla brutta serata di ieri, è il comportamento dei giocatori del PSG. Alcuni dei quali, tra cui Neymar, peraltro protagonista di una vicenda non proprio edificante poche settimane fa, sono particolarmente attenti all’argomento. Schierandosi con gli avversari, hanno offerto una reazione compatta. Quella del calcio che dice no al razzismo, per una volta anche coi fatti oltre che con le parole.

Ma ci sono altri fatti. Altri numeri da dover considerare. Altre domande da doversi porre. E tabù che continuano a restare in piedi. Protagonista suo malgrado dell’accaduto è stato Pierre Webo, ex calciatore camerunese, oggi vice di Okan Buruk sulla panchina della squadra turca. Quasi un unicum, se guardiamo al panorama europeo, e comunque non primo allenatore. Come del resto accade in tutta Europa. Se consideriamo i cinque grandi campionati del Vecchio Continente, infatti, nessuno dei 98 allenatori è di colore. L’unico era Patrick Vieira, esonerato dal Nizza pochi giorni fa. Soltanto in due (Fabio Liverani del Parma e Nuno Espirito Santo del Wolverhampton) hanno origini africane. Desolante anche lo scenario per quanto riguarda la Champions League: nessuna delle 32 squadre impegnate nell’edizione 2020/2021 della massima competizione continentale è guidata da un tecnico di colore. Stesso discorso per l’Europa League e i 48 club attualmente in gara. Numeri che contrastano con quelli dei tanti giocatori di colore, grandi e anche grandissimi calciatori, che in ogni partita sono protagonisti in campo. È possibile che non vi sia, nel 2020, un allenatore di colore in grado di meritarsi la chiamata di una delle oltre cento società del calcio che conta? No, è inverosimile. Eppure succede. E allora, se la campagna mediatica dell’UEFA ha un senso e il razzismo va condannato in ogni sua forma, forse conviene chiedersi perché questa differenza sussista ancora. Le parole contano, i fatti di più.

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