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Si vis bellum, para pacem. Gli agenti fanno fronte comune: non siamo noi i cattivi della storia

di Ivan Cardia
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Il proposito ecumenico poteva suggerirlo già la location, la solita per la verità: il teatro di un oratorio fuori dalla cinta muraria di Milano. Lontanissimi, a ogni modo, il Gallia, il Bulgari, piazza della Repubblica e tutti i luoghi del mercato e dello sfarzo di cui di solito i potenti del pallone si attorniano. Stridente il contrasto con la piccola folla, nel frattempo radunatasi per ben altri motivi, nel cortile della chiesa. Ma tant’è, e poiché le buone azioni si fanno ma non si dicono, diamo per scontato che per l’ospitalità ci sia il giusto ricambio. Arriviamo al punto: l’assemblea straordinaria dell’AIACS, l’associazione che riunisce gli agenti italiani, si è celebrata in un clima di sorprendente unità della categoria. È stato confermato il presidentissimo Beppe Galli; i partecipanti, al netto di qualche assenza eccellente ma arcinota o comunque prevedibile, sono stati numerosi. 78 a votare, tra i quali diversi big della procura. Un clima per molti aspetti inedito, anche e soprattutto nel tentativo, peraltro apprezzabile, di dare pubblicità al tutto e migliorare il dialogo con i media, quindi con i lettori e di conseguenza con i tifosi. Senza scomodare rose e fiori, un appuntamento all’insegna di un’apertura che non sempre c’è stata, se non nella dinamica del do ut des, ti do qualcosa soltanto se e perché me la dai anche tu in cambio.

-L'INTERVISTA A FEDERICO PASTORELLO -

Gli agenti si sentono sotto attacco. Il tema del giorno non è il rinnovo o il futuro di Tizio, ma i parametri zero, le commissioni, gli affari dei procuratori che dal calcio guadagnano e pure parecchio. Dal caso Donnarumma in poi, del resto, l’argomento ha assunto un peso nel dibattito attorno al gioco più bello del mondo quasi mai visto e vissuto in precedenza. La sensazione, ad alto livello, è che si vada verso uno sport di free agent, in cui decidono i calciatori e prima di loro, persino più di loro, i rispettivi procuratori. Anche se c’è chi, come Tullio Tinti, orgogliosamente ricorda “io non ho mai portato nessun calciatore a parametro zero”. Una volta, peraltro, era quello il mestiere. Oggi si direbbe di no, per quanto questo discorso sia vero soltanto per i big. A basso cabotaggio, infatti, il parametro zero è una scelta delle società, più o meno squattrinate: “Perché nessuno parla dei duecento calciatori di Serie C che vanno in scadenza di contratto?”, si chiede sempre Tinti. È un gap che c’è e anzi aumenta col passare del tempo. Chi l’abbia creato, se gli agenti, i club, i media, è uno dei nodi della discussione. Magari tutti insieme, e fra tutti i media meno di altri. Galli&Co, però, non ci stanno a recitare la parte dei cattivi in questa storia. Se Vlahovic va in scadenza, per citare un altro esempio spinoso legato all’attualità, è anche perché la Fiorentina non gli ha rinnovato il contratto un anno fa. Ha aspettato che facesse 20 gol a campionato, e oggi si scontra con le rinnovate ambizioni del serbo. Del resto, ricorda il novello presidente onorario Giovanni Branchini, “se uno così parte a fine contratto, tra un anno e mezzo, vuol dire che per due stagioni ha perso soldi che avrebbe potuto guadagnare altrove, sta investendo su se stesso, e anche rischiando”. Gli fa eco Alessandro Moggi: “E tra l’altro la società in quel periodo ha risparmiato, tra aumento dell’ingaggio e commissioni per il rinnovo”. Sono le leggi del mercato, sostengono gli agenti: esistono da sempre, vengono seguite da sempre, solo ora ci si accorge che non contribuiscono a costruire il migliore dei mondi possibili? È una questione di approccio, e in effetti nel dibattito pubblico si è creata una pericolosa commistione di piani diversi, non sempre sovrapponibili. Se affronti un problema di natura economica, al più sportiva, con canoni di tipo etico stai sommando le mele con le pere.

- L'INTERVISTA A GIOVANNI BRANCHINI -

Si vis pacem, para bellum. Se vuoi la pace, dicevano i latini, prepara la guerra. Un motto che potrebbe essere capovolto, per raccontare l’armonia manifestata da una categoria che per 364 giorni all’anno si scambia coltellate nei fianchi: prepara la pace, se vuoi la guerra. Se gli agenti si sentono sotto attacco, è perché una forma di guerra si profila all’orizzonte. Nel mirino, ci sono i soldi che il calcio crea e distribuisce, ma spesso sottrae, anche a sé stesso. “Ma i presidenti non vengono stipendiati?”, domanda Federico Pastorello quando gli si chiede se le commissioni non siano un modo di togliere risorse al sistema. In effetti, in questo gioco delle parti, è difficile che ci sia un vero cattivo. I parametri zero sono colpa dell’avidità dei procuratori o dell’incapacità delle società? La risposta sta spesso nel mezzo. Le commissioni stratosferiche di cui si legge in giro si sono ingigantite perché gli agenti le hanno pretese o perché fanno comodo anche ai club? Idem. Le intermediazioni sono diventate ipertrofiche perché gli operatori di mercato vogliono tutti sbafarsi un pezzo della torta, o perché le società hanno trovato più facile (e conveniente) adagiarsi sul lavoro altrui? In un gioco nel quale una mano lava l’altra e tutte e due lavano il viso, ma in molti casi tutto rimane mediamente sporco, è complicato sostenere che la “colpa” possa ricadere interamente sugli agenti. Per di più se questi ultimi non sono considerati parte integrante del sistema. Un capitolo a parte, ma mica tanto: assurdo, per esempio, che nella commissione d’esame non vi sia neanche un esponente della categoria. Come se l’esame di stato per diventare ingegnere lo giudicassero gli avvocati, in quello per avvocati decidessero i medici, e via dicendo. Nella posizione unitaria cercata, tentata, chissà se trovata, della categoria che meno incontra i favori del pubblico (allo stadio del resto si va per i gol, mica per ammirare un contratto ben scritto), pare esservi anzitutto questo: la volontà di un riconoscimento che a oggi, anche a livello federale e internazionale se si parla di EFAA, manca. E allora non fateci la morale, sembrano dire i procuratori, se facciamo parte del giochino soltanto quando fa comodo a voi. Il rovescio della medaglia? I rovesci, meglio. Primo: che quel riconoscimento, da affaristi quali sono, gli agenti (non tutti, magari non soprattutto in senso all’associazione) sono i primi a rifuggirlo. Poi, che un problema c’è: magari andrà di moda solo ora parlarne, ma è vero che le commissioni hanno raggiunto cifre difficilmente sostenibili, è innegabile che le mediazioni sono diventate quasi ridicole nel loro proliferare, è credibile che la prossima estate potremmo assistere a un fuggi fuggi di grandi calciatori a parametro zero. Forse il cattivo manca perché non ha molto senso trovarlo: ci siamo arrivati tutti insieme, c’è da tirarsi fuori da questa bolla tutti insieme, altrimenti il giocattolo si rompe. Succederà? La grande armonia suggerirebbe di sì, ma maschera una serie di faide. Non solo verso l’esterno, ma anche interne. Gli assenti di cui sopra, pur non numerosissimi, in alcuni casi sono viceversa parecchio rumorosi e nello specifico molto rilevanti nelle dinamiche di mercato. Tra sorrisi e strette di mano, è poi facile notare il luccichio dello stiletto nascosto dietro la schiena. Si va d’amore e d’accordo, alla prima opportunità homo homini lupus. È il mercato, dicevamo. Forse è il turbocapitalismo applicato al calcio, che inizia a dare qualche segno di cedimento.

- L'INTERVISTA A TULLIO TINTI -

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Mercoledì 8 Maggio 2024
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