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Ha vinto l’unica squadra che ha avuto identità e regolarità. E che sa già cosa deve fare da grande

di Ivan Cardia
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Antonio Conte ci ha provato, a sparigliare le carte. Ha sperimentato e ha rischiato, ha inseguito la bellezza e ripescato dalla tesi di Coverciano il trequartista. In quei frangenti ha faticato: all’interno di una stagione trionfale, i momenti più complicati per l’Inter sono quelli in cui il tecnico salentino ha provato a fare qualcosa di diverso da quello che la sua carriera racconta. Una vita a menare di sciabola, per poi provare a impugnare il fioretto: lì le certezze rischiavano di venire meno. Così un certo punto ha messo da parte tutto questo, ha inserito il pilota automatico e ha portato a casa l’obiettivo. Ha vinto, quello che gli riesce meglio: non è un caso che sia stato proprio lui, dopo averlo lanciato ormai dieci anni fa, a rompere l’incantesimo bianconero sulla Serie A.

Ha vinto la squadra che ha avuto un’identità. Pur costruita a fatica. Anche a costo di qualche deviazione e un paio di passi indietro. Su Eriksen, per esempio: a un certo punto Conte sembrava voler diventare un allenatore che sa adattarsi ai giocatori. Dato che è invece un ottimo maestro, il giochino gli è venuto meglio quando è riuscito a convincere il danese che sarebbe stato più logico adattare lui al contesto. L’Inter di oggi ricorda quella di Trapattoni o di Simoni, a sentire chi quelle squadre le ha vissute. Probabile, ma ricorda soprattutto la Juve di Conte e un po’ anche quella di Allegri, che ne è stata per molti aspetti una derivazione. Ha solidità difensiva e qualità in attacco. Soffre poco e sa gestire le partite. Non le serviva andare sempre a mille all’ora, perché da un certo punto in poi sono venute meno le concorrenti. È una qualità che per esempio la Juventus non ha avuto: mai uguale a sé stessa, nel modo di stare in campo prima ancora che negli interpreti. Senza spartito è tutto più complicato.

Identità, ma anche regolarità. Il Milan ci ha provato, ma la squadra di Pioli non era pronta per vincere. E poi ha patito tante assenze, come del resto il Napoli, frenato dal non avere per buona parte del campionato i suoi due attaccanti di riferimento. Atalanta e Lazio sono lontane dalla qualità della rosa dell’Inter; la stessa Juve ha combattuto contro i tanti KO. I nerazzurri ne hanno avuti ben pochi, e quasi mai tra i giocatori davvero fondamentali, a partire da Lukaku che è l’architrave su cui si è poggiata tutta la baracca. È un dato da considerare, senza togliere meriti: l’Inter ha potuto sviluppare l’identità di cui sopra anche perché ha potuto giocare quasi sempre con gli stessi calciatori in campo, e quando non l’ha fatto è stato per scelta. Non si può dire lo stesso delle avversarie.

Sa cosa fare da grande. Il fatto di avere un progetto tecnico chiaro e di averlo potuto sviluppare dà ai nerazzurri un ulteriore vantaggio per pianificare il futuro. Al netto, è superfluo sottolinearlo, dei confronti che ci dovranno essere tra lo stesso Conte, la dirigenza e la proprietà. Se tutto filerà liscio, e oggi i motivi di fiducia in tal senso superano di gran lunga i timori, l’Inter sa già cosa deve fare questa estate. Per migliorare non le serve tanto: un esterno sinistro, un centrocampista in grado di fare quello che ci si aspettava da Vidal, un difensore e un attaccante di scorta ma di alto livello. Magari un portiere, più verosimilmente un vice-Handanovic. Sa dove mettere le mani, cosa che per esempio non si può dire della grande sconfitta di questo campionato, la Juventus, talmente informe da non rendere semplice capire dove intervenire. Così come del Milan, ancora acerbo e richiamato anzitutto a salire quel gradino (il ritorno in Champions) che l’Inter ha fatto un paio di stagioni fa. Del resto uno scudetto è un gran bel punto da cui ripartire.

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Venerdì 3 Maggio 2024
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