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Perché Ibra non crede allo scudetto. Perché la debacle contro il Bayern è colpa di Lotito. Perché il pericolo per l’Atalanta non è il Real Madrid. Perché la Juve per il titolo c’è, ma Pirlo male come prima

di Tancredi Palmeri
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Ibrahimovic non crede allo scudetto. Perché se già in estate, quando ancora doveva raggiungere l’accordo con il Milan, aveva già raggiunto un accordo come quello bislacco per Sanremo, allora vuol dire che Ibra non crede allo scudetto. Perché uno che crede allo scudetto non può pensare che passare 6 giorni consecutivi a marzo appresso a un impegno totalizzante come Sanremo possa essere indolore per la lotta al titolo.
E sì che Ibra ha avuto tutto il tempo del mondo per disdire, cosa ampiamente giustificata nel tardo autunno o in inverno al seguito di un girone d’andata straordinario, e della consapevolezza che la settimana combaciasse per di più con l’infrasettimanale.
Ibra non crede allo scudetto perché se davvero ci credesse non metterebbe la società in una posizione così imbarazzante in un momento così delicato della stagione - e vi posso garantire che in società il livello di disappunto e disorientamento per la questione Sanremo è a livelli altissimi. E con disappunto e disorientamento ho appositamente voluto utilizzare due eufemismi affettuosi.
Ibra non ci crede perché magari poi per tigna nelle due partite della settimana in questione farà anche 4 gol, ma semplicemente non ti vai a sottoporre a uno stress psicofisico inutile con quello che vi state giocando nel frattempo, proprio tu poi che al tuo equilibrio fisico devi stare estremamente attento.
Magari Ibra ci crede allo scudetto, ma non è la priorità.

Doveva essercene invece solo una per la dirigenza laziale, di priorità.
La debacle contro il Bayern è colpa di Lotito. Certo, in campo vanno i giocatori e per la partita li prepara l’allenatore. E i giocatori hanno avuto un approccio totalmente sballato, perdendo l’umiltà che li contraddistingue e la concentrazione che è condizione minima e necessaria. E l’allenatore non ha tenuto le fila serrate ed è corso dietro agli eventi senza essere al comando della squadra. Ma per la seconda volta Lotito ha commesso un errore capitale. Non commetterlo forse non avrebbe comunque evitato la sconfitta, ma sarebbe stata di un altro tipo, e sicuramente senza rimpianti.
L’anno scorso la Lazio entrò in un febbraio ancora placido con invece il tumulto in sé di potersi giocare uno scudetto nemmeno ipotizzato. Lo faceva con un granitico XI titolare, preservato dagli infortuni e da altri impegni di coppe, ma pur sempre con una squadra limitata. L’occasione di una vita avrebbe dovuto suggerire a Lotito un piccolo sforzo a gennaio per dare un paio di ricambi in più a Inzaghi, perché come si dice in Sicilia “Meglio dire ‘che ne so’ che dire ‘che ne sapevo’ “. Invece la Lazio sul mercato di riparazione onomatopeizzò nell’atteggiamento il suo cannoniere: immobile, zero acquisti. All’ancora meno ipotizzato rientro post-lockdown gli infortuni cominciarono a susseguirsi senza soluzione di continuità, e alla fine per non aver provveduto per tempo a darsi un paio di opzioni in più, la Lazio probabilmente ci rimise lo scudetto.
Quest’anno la Lazio ha guadagnato l’eliminazione diretta di Champions per la prima volta dopo 20 anni, e sapendo già di fare miracoli soprattutto in difesa, da sempre il reparto più sguarnito, dove Acerbi è costretto a essere uno e trino, e la difesa a 3 non c’entra con il dono dell’ubiquità. Si è aggiunto anche l’infortunio di lungo corso di Luis Felipe, la ridotta autonomia di Radu, e dunque l’esigenza difensiva è stata inalienabile. E per giocarsi un obiettivo simile, Lotito non ha trovato di meglio che andare a prendere la quinta scelta difensiva del Milan, e un cavallo di ritorno come Hoedt che ha deluso non solo al Southampton ma perfino all’Anversa. Forse la Lazio avrebbe perso lo stesso con il Bayern, ma essersi costretti al rischio di giocare con una difesa non presentabile è colpa di Lotito.

L’Atalanta invece arriva con il morale che voleva lei, alla sfida contro il Real Madrid. La Dea può distruggere la Casa Blanca, e farlo con la propria furia e la propria classe. Che può essere talmente impetuosa da travolgere anche lei stessa.
Perché il Real Madrid dalle 10 assenze - ma di cui 5 titolari - non avrà soprattutto Sergio Ramos e Benzema, i capi tribù delle notti da tregenda. E mai come adesso sarà sguarnito.
Però quantomeno ne è consapevole del pericolo, e agirà di conseguenza. L’Atalanta ha tutto per spingerli fino all’orlo del precipizio, ma non deve farsi ingolosire dalla voglia di dargli uno spintone furioso e poi sbilanciarsi e caderci lei nel burrone. Perché al Real Madrid di Zidane rimane quantomeno la capacità di usare l’esperienza e la testa. E allora l’Atalanta deve stare attenta a non essere ingorda, a non farsi fottere dalla propria bellezza, a utilizzare la testa anche quando la tua classe sembra essere abbastanza.

Forse non sarà abbastanza la classe tecnica della Juventus, ma sicuramente nessuno ne ha più di lei, al massimo l’Inter ha classe alla pari.
E allora si può tranquillamente affermare che la Juve è in corsa per lo scudetto: a -8 dall’Inter ma ancora potenziale -5, e con lo scontro diretto. Ritardo discreto ma è la Juve, dunque è ancora fattibile.
Sempre che si renda conto dei suoi limiti e di come Cristiano Ronaldo li faccia sembrare più piccoli quando svetta lassù. Il Primo Tempo della Juve contro il Crotone è stato ancora non all’altezza, perfino rischioso, poi ci ha pensato CR7 e i problemi sono sembrati un puntino.
Ma Pirlo è ancora reduce da quanto male andassero le cose prima, i margini sono ampi ma non c’è più tempo. E credere che le vittorie con i Crotone ottenute in quella maniera siano sufficienti, vuol dire non aver capito nulla della notte di Porto.

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