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L'Inter perde 100 milioni vendendo Lukaku e Hakimi, come può sopravvivere senza capitali da Suning? La stessa domanda che si è fatta la Juventus, approvando l'aumento di capitale. Plusvalenze, quando la verità non interessa davvero a nessuno

di Andrea Losapio
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© foto di Lorenzo Di Benedetto

Nella settimana più buia del nostro calcio, è passata quasi sotto silenzio una notizia che dà la dimensione del movimento, molto più di tutte le ricette strampalate - e tutte uguali - che sentiamo ogni volta che falliamo, quando usciamo dall'Europa con i club oppure non ci qualifichiamo alla fase finale del Mondiale. Il calcio italiano è sostenuto da tre grandi che hanno vinto la quasi totalità degli Scudetti negli ultimi trent'anni. Solo Lazio e Roma hanno intaccato il dominio di Milan, Juventus e Inter. La verità è che la competitività del nostro calcio è nelle strisciate: il Milan del declino di Berlusconi (e del post) non è mai stato quello che serviva. La Juve non vince la Champions da 25 anni.

E l'Inter? Ecco, la notizia è davvero quella sull'Inter. Come è possibile che in un'annata come quella attuale, dove vengono venduti Lukaku e Hakimi, c'è un rosso da 100 milioni di euro? Guardando poi al patrimonio netto e ai debiti, ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli. Forse nemmeno vendendo tutta la rosa si potrebbe rientrare in quella che è una gigantesca operazione di debito su debito su debito. Un'azienda normale porterebbe i libri in tribunale, invece Suning preferisce accendere un altro bond sul bond precedente. Ed è incredibile che nessuno dica niente. È assurdo che non ci sia un organo che possa dire "o ripianate o vendete", con compiti esecutivi. Dall'altro lato è anche vero che chiunque investe fior di milioni deve essere tutelato: Suning lo ha fatto, in un momento che poteva sembrare buio. Però quella dell'Inter è una crisi che parte da lontano: Thohir, nonostante numeri da brividi, è riuscito a guadagnare intorno ai 150 milioni, acquistando una società indebitata e lasciandone una anche di più.

La verità è che il calcio è finanza, sempre di più. È una gallina dalle uova d'oro che arrivano sempre oggi e mai domani, perché nessuno ci pensa. Il dirigente deve guadagnare, il presidente deve guadagnare, il calciatore deve comprarsi una Lamborghini più del suo compagno d'attacco. Se parlate con le società è colpa di tutti: dei giocatori che vogliono guadagnare di più - ma poi li pagano - dei procuratori che trattano le commissioni (ma poi devono aspettare anni per avere i propri soldi contrattati con i dirigenti) del Decreto Crescita, della congiunzione astrale sfavorevole, infine dei giornalisti. Non quelli a libro paga, anche se possono essere un problema. Quelli che provano a cambiare l'appiattimento della nostra stampa, legata ai risultati, all'esaltazione, ai media che diventano sponsor dei club e che quindi devono rispondere a dinamiche diverse rispetto alla propria deontologia/coscienza quando c'è una notizia possibilmente scomoda da dare.

Il calcio italiano è una noia pazzesca perché è sempre tutto uguale. La critica oramai è tutta retorica, nessuno segue i settori giovanili e chiunque si riempie la bocca di quel che succede o meno. L'Inter è un problema come lo è la Roma, con una differenza. Friedkin, dopo anni di Pallotta, ha deciso per un aumento di capitale da 400 milioni. Peccato che i debiti siano molti di più, ma questo è un altro discorso. Tutti dicono di essere legati alla ipotetica costruzione di uno stadio che dovrebbe far svoltare. È una falsità storica. Chiedete all'Udinese o all'Atalanta quali sono i ricavi, asset a parte in una vendita. L'Atalanta ha guadagnato di più a San Siro con il Valencia con 45 mila spettatori che non con tre partite di Champions: anzi, ha guadagnato più del doppio, con 2,6 milioni rispetto agli 1,3 di United, Villarreal e Young Boys. Ammettendo anche che la percentuale degli spettatori dell'inverno scorso fosse limitata, al massimo significava andare in pari. Lo stadio non è la panacea di tutti i mali, è un buon modo per vendere a cifre più alte ma non sconvolge le gerarchie, a meno che tu non sia in Inghilterra e faccia pienoni da 60 mila persone.

La Juventus, per dire, con lo stadio ha avuto un boost iniziale straordinario. Poi ha pensato di essere il Barcellona - anche qui potremmo aprire un capitolo sui blaugrana, ma è diverso - e si è accartocciata su sé stessa, cannibalizzando un campionato e pensando più alla Superlega che non alla competitività del calcio italiano. Una Serie A più combattuta è più divertente e tutti puntano a migliorarsi. La Juve che fa 40 mila spettatori (e manco sempre) non può essere una potenza mondiale. Deve capire che può forse essere il Bayern Monaco, ma sempre considerando che i bavaresi guadagnavano nel 2012 circa 110 milioni di euro dall'Allianz Arena, la Juventus non ci arriverà mai. Così la Juventus si trova anche lei con debiti pazzeschi, ma con una potenza e una proprietà molto differente rispetto all'Inter: Exor ripiana, fa aumento di capitale, pur storcendo la bocca. Sarebbe bello capire dove è finito Andrea Agnelli, ma è una domanda che non interessa a nessuno, chissà perché.

Arriviamo così al finale della storia, quella delle plusvalenze. Un abilissimo - e goffissimo - modo per gonfiare bilanci, creare plusvalenze con giocatori che non servono a nessuno se non per mettere una pezza a negativi straordinari. Caduta la foglia di fico, dimezzate le plusvalenze nel 2020, ecco la tragedia del calcio italiano, con solo Atalanta e Verona in positivo, altre in un rosso che varrebbe fallimenti a raffica. Ok i deferimenti, ma bisognerebbe avere una mano pesante per evitare che tutto ciò ricapiti. Ma quando il Chievo - che non aveva forza rispetto a chi è coinvolto stavolta - prende pochi punti di penalizzazione per una situazione che vedrebbe anche chi non è avvezzo di bilanci (per non dire un bambino) allora è tutto valido.

Burocrazia insopportabile, plusvalenze, bilanci, conflitti di interesse. Tutti vogliono l'uovo oggi e chissenefrega della gallina domani. Ma non solo l'uovo. Il pollaio pieno. Costringendo la gallina a partorire ogni due minuti. Prima o poi la gallina scoppia, a meno di avere i fondi per comprarne altre. Chissà se il calcio lo capirà, ma la sensazione è che tutti quanti si faranno una grossa risata e continueranno a fare come prima: spendere soldi che non hanno, sperando che qualcuno arrivi a ripianare.

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