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L'instant team della Juventus è fallito. Di Maria e le parole fuori tempo sul futuro, Bonucci e i senatori fanno flop, Allegri non ha un piano B ma resta al comando. E lo scouting funziona ma non viene sfruttato a dovere

di Marco Conterio
Nato il 5 maggio, è inviato di Tuttomercatoweb. In RAI con 90° Minuto, Calcio Totale e Notte Azzurra, ha lavorato con Radio RAI, Radio Sportiva e per Il Messaggero.
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Persa sul sentiero del fallimento, la Juventus non riesce a guardarsi allo specchio e a riconoscere i propri errori. A porvi rimedio. La caparbietà è una virtù, la testardaggine porta solo il piede a diventar più pesante sull'acceleratore mentre il muro s'avvicina, senza freni. Massimiliano Allegri che in conferenza stampa spiega, alla prima risposta utile, che venire eliminati dal Benfica a una giornata dal termine della fase a gironi non è un fallimento ne è la controprova scritta, provata, dimostrata. L'ammissione delle proprie colpe, talvolta, è il primo passo per rialzarsi dopo esser caduti, non solo cercar alibi, scuse. Per fatturato, ingaggi, costi, prezzi, il Benfica non vale la Juventus. Invece con un allenatore nuovo, con giocatori rilanciati, con giovani lanciati senza paura, due notti fa ha dimostrato di essere una grande mentre la Vecchia Signora una squadra che gode e si bea di un passato che non c'è più. Che non c'è adesso. E con lei il suo tecnico.

Il fallimento dell'istant team
Più d'ogni altra squadra, la Juventus sarebbe stata giudicata dai risultati di questa stagione perché ha creato un istant team, ovvero una squadra fatta per far subito risultato con poca progettualità e lungimiranza. Abbiamo, tutti, fatto l'errore di confondere la carta d'identità con la personalità, il talento con la dedizione a un progetto, le favole con la realtà. Leonardo Bonucci non s'è dimostrato capitano all'altezza, gran 'trascinato' ma non trascinatore, il vice ideale ma un primo che non sa guidare i suoi, che se messo al fianco di leader sa esaltarsi e diventare grandissimo ma che se deve esser lui il motivatore porta energie e tensioni più negative che altro. La parabola discendente di Juan Guillermo Cuadrado è sotto gli occhi di tutti, il desiderio di Angel Di Maria espresso in Sudamerica il giorno del fracaso della Juventus, "voglio tornare al Rosario Central e lo sanno tutti", irrispettoso per il suo club e per quanto la squadra ci ha puntato. Poi ha corretto il tiro, chiarito, ma nella vita biaogna anche saper scegliere i tempi oltre che i modi.

L'errore di non rifondare
Dusan Vlahovic ancora una volta, come Bonucci ma in un'altra dimensione, ha dimostrato di funzionare all'interno di un contesto ma che sotto le pressioni e i colpi dell'ambiente deluso, non è traghettatore ma solo passeggero inerme. Si dirà che a questa Juventus sono mancati Paul Pogba e Federico Chiesa, e valli tu a togliere acqua e farina all'impasto della pizza. Però Allegri non ha trovato alcun piano B, alcuna soluzione se non difendersi, sperare nelle giocate dei singoli e dire che servono "calma", poi "pazienza", e poi "difese immunitarie". Il problema, vero, è che le malattie sportive di questa Juventus sono profonde. Scelte tecniche sbagliate, il coraggio di rifondare che manca, la voglia di restaurazione anziché di rifondazione che è stata l'inizio della fine.

Lo scouting funziona. Ma non viene sfruttato
La cosa che colpisce, in tutto questo, è che la Juventus ha un comparto scouting che funziona. La prestazione di Samuel Iling-Junior contro il Benfica, pur con tutte le dovute contestualizzazioni del caso, ne è la controprova. Quel che sta facendo Kenan Yildiz nella cantera bianconera, ovvero esser già un giocatore pronto per il salto di qualità e siamo certi che all'estero l'avrebbe già fatto, lo dimostra. La Juventus ha da tempo un problema col terzino sinistro: per come gioca tra Primavera e Youth League, lo svedese Jonas Rouhi può essere la soluzione del futuro. Ma perché non del presente? Perché, se la Juventus non ha avuto a lungo giocatori capaci di saltare l'uomo con le assenze di Angel Di Maria e di Federico Chiesa, ha preferito cambiare modulo anziché lanciare Matias Soulé? Che ci sia un problema in difesa sembra quasi irrilevante ammetterlo. Dean Huijsen, classe 2005, è considerato in tutta Europa tra i migliori interpreti del ruolo. Troppo presto? Troppo acerbo? Meglio riadattare giocatori in ruoli non suoi, meglio puntare su Rugani e Gatti?

Inchieste, Superlega, scelte sbagliate: tutto traballa
Intorno tutto traballa, dalle inchieste alla Superlega che non c'è. Dalla figura del Presidente, Andrea Agnelli, che chissà che ora non venga messa in discussione da John Elkann come e più di un anno fa, a una dirigenza che ha svolto a pieno il suo compito, ovvero accontentare il suo allenatore nei ruoli e nei nomi, ma che non s'è saputa imporre, sbattendo i pugni sul tavolo e contestandone la strategia. Preparazione fisica sbagliata, motivazioni che mancano, troppi infortuni muscolari. Se c'è una cosa che in una squadra non va, eccola lì, in questa Juventus disastrosa che ora s'aggrappa al sogno della remuntada in campionato ma con ben poche basi concrete. Altri hanno investito nelle speranze, nei progetti, nel percorso, nei giovani, nel talento. La Juventus ha deciso di far tutto e subito, alzando la media età, comprando giocatori per vincere o sprofondare. Un Titanic bianconero, l'iceberg è già stato centrato, nelle motivazioni, nei risultati e nei conti. E il Comandante è lì.

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