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Juve: i rischi della super sfida e il moralismo senza senso sui “ragazzotti”. Inter: la verità tra le parole di Marotta (Icardi, Spalletti e... Conte). Milan: il futuro di Gattuso, spiegato nel presente. Napoli: la coerenza non è un optional

di Fabrizio Biasin
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© foto di Alessio Alaimo

Mentre scriviamo brucia Notre Dame e c’è davvero poco da ridere. Qualcuno fa grassa ironia “in fondo non è morto nessuno!”. Ah, pisquani, quanta pochezza. Brucia Notre Dame e noi siam qui a parlare di pallone, del resto di arte capiamo nulla, ma che fastidio accendere la tv e vedere le fiamme che mangiano la storia, poi cambiare canale e imbattersi nel Grande Fratello e alla fine non capire quale sia il danno maggiore inflitto alla civiltà.

Ma qui si scrive di calcio, questa volta con parecchia amarezza e non ci possiamo fare nulla.

Ha parlato Marotta, l’amministratore delegato dell’Inter per la parte sportiva. Ha parlato e molti hanno detto: “Che brutto discorso, troppo juventino, troppo remissivo, troppo tutto”. Ma, forse, chi è rimasto sorpreso non ha ascoltato per davvero.

Dice Marotta: “In questi mesi nerazzurri ci sono state un po’ di difficoltà di inserimento”.

E in effetti è così. Marotta sapeva che sarebbe stato difficile, ma non immaginava di dover affrontare così tante questioni. Ad Appiano si è scontrato con i limiti di un gruppo volonteroso ma fragile e – si è visto – privo di veri leader. Nei primi mesi ha provato a portare regole e disciplina, ben sapendo che il reale obiettivo è far sì che a Milano arrivino giocatori non da educare ma “già pronti”. Nel complesso si è dovuto scontrare anche con problemi di carattere logistico/organizzativo: dalle strutture, alla suddivisione dei compiti. Tutti aspetti che possono sembrare marginali, ma è anche grazie a quelli che si acquisisce una “forma mentale” vincente.

Dice Marotta: “Quale sarà il futuro di Icardi? Tutte le riflessioni verranno fatte al momento opportuno: la volontà della società è importante, ma conta tanto quella del giocatore”.

È in effetti è così, ma con alcune distinzioni. Marotta ha in mente un’Inter che non debba prescindere da un solo giocatore, un’Inter più “armonica” ed equilibrata. Questo però non significa che si voglia privare a qualunque costo dell’ex capitano: serve un’offerta convincente (non c’è), serve la volontà del giocatore (al momento deciso a restare a Milano), serve – soprattutto – capire chi siederà sulla panchina dei nerazzurri la prossima stagione: Spalletti o qualcun altro?

Dice Marotta: “Il futuro di Spalletti? Gli va data fiducia perché ha dimostrato di poter raggiungere risultati importanti. Le voci su Conte? Antonio è sul mercato, è libero, è il profilo dell’allenatore vincente e si inserisce in modo molto forte nel calcio moderno. Normale che se ne parli”.

Tutto vero. Marotta rispetta moltissimo il lavoro di Spalletti, ma questo non significa che non abbia mosso le sue pedine per ragionare su un’Inter che possa essere “la sua Inter”. E la sua Inter, Marotta, la immagina con Conte in panchina. I contatti con l’ex ct ci sono stati (anche di recente) e un accordo quanto a “disponibilità” è stato raggiunto. Questo non significa che sia tutto fatto: bisogna trovare un’intesa economica (nel caso anche con Spalletti, ovviamente) e, soprattutto, serve l’ok della famiglia Zhang. Totale: Marotta come tutti gli interisti attende la matematica qualificazione alla Champions (la cosa più importante), poi proverà a portare avanti il suo piano. Ci riuscirà? Non è scontato, ma neppure impossibile.

Dice Marotta: “Uno scambio Icardi-Dybala? Paulo è un giocatore molto forte anche se sta vivendo un periodo di momentanea involuzione. È un professionista serio così come lo è anche Icardi, che è giovane e deve fare esperienza e crescere”.

Sincero. Marotta apprezza moltissimo Dybala, Dybala apprezza moltissimo Marotta. Questo significa che l’anno prossimo torneranno a lavorare assieme? Non è così semplice, ovvio: la Juve, nel caso, sparerebbe altissimo e, vista l’esplosione di Kean, non è detto che sia ancora così interessata a uno scambio con Icardi. E allora mettiamola così: l’affare è molto difficile (Marotta dovrebbe recuperare i quattrini necessari attraverso le cessioni), ma un incastro (ripetiamo, difficile) potrebbe trovarsi a prescindere da Icardi.

Dice Marotta: “La Juve può recitare un ruolo da protagonista ancora per diversi anni, il gap con le altre resta notevole, soprattutto dal punto di vista economico. La Juve vincente e forte come società è vista come modello di riferimento, l’Inter in 8 anni ha cambiato tre proprietà, manca ancora una certa stabilità all’interno dell’azienda”.

Sincero e “furbo”. C’è chi tra gli interisti non accetta un complimento all’acerrima nemica, ma questa deve essere vista come una valutazione “strategica” e anche orgogliosamente autoreferenziale (del resto se la Juve ha raggiunto certe vette, il merito è soprattutto suo). Lanciare in questo momento la sfida “verbale” ai bianconeri avrebbe pochissimo senso.

Dice, infine, Marotta: “La volontà della famiglia Zhang è di migliorare di anno in anno. Affronteremo il mercato cercando di puntellare la rosa, ci sono aspetti che vanno migliorati, soprattutto dal punto di vista dell’esperienza e della cultura vincente. Siamo vicini a Godin che ha questi valori e dobbiamo cercare calciatori come lui che possano condizionare da questo punto di vista lo spogliatoio. La famiglia Zhang vuole fare bene, nonostante i paletti del fair play”.

Sincerissimo. Marotta vuole uno spogliatoio solido, un mix di giovani che siano già “spendibili” a San Siro (i Barella di turno) e giocatori d’esperienza che abbiano un curriculum vincente. Solo chi ha già vinto può aiutare a vincere chi non ha vinto niente. Questa frase pare una cazzata, ma se la rileggete troverete un senso.

E poi il resto.

La Juve gioca questa sera una partita leggermente importante e di sicuro non facile: l’Ajax è quello dei giovani pimpanti e già solidi quanto a “mentalità”. Toccherà stare attenti e, infatti, Allegri ha preparato la sfida nei dettagli. In questi giorni hanno rotto i santissimi al tecnico bianconero per la formazione schierata a Ferrara. E, francamente, non capiamo: colpevolizzato per aver risparmiato i suoi giocatori acciaccati e più importanti in vista di 90 minuti che valgono una stagione. La reprimenda, semmai, andrebbe fatta alle avversarie che con la loro “non-concorrenza” hanno consentito ai primissimi in classifica di testare i famosi “ragazzotti” a 7 (sette!) giornate dalla fine (che poi in campo c’erano 9 nazionali, suvvia).

E il Milan, che vince, dà solidità al suo quarto posto e mette in imbarazzo quelli che cercano costanti appigli per stracciare i maroni a Gattuso, capace questa volta di completare la doppietta: bravissimo nella gestione del match contro la Lazio, ancor di più in quella dialettica del – definiamolo – “caso Bakayoko”. Ha già detto tutto lui, inutile ribadire il concetto. E il futuro? Basterà la qualificazione alla Champions per vedere Rino sulla panchina dei rossoneri anche la prossima stagione? Difficile dirlo, ma la sensazione è sempre la stessa: anche Leonardo (come Marotta) ha in mente “la sua squadra” e se “il suo Milan” non contempla Gattuso in panchina beh, è meglio dirsi addio piuttosto che impostare una stagione su un finto e fragilissimo “rapporto che non c’è”.

E due parole le spendiamo anche per il Napoli e per Ancelotti, bastonato nel post-Arsenal perché “se esce dall’Europa League ha toppato la stagione”. E sì, è vero, non ci sarebbe decisamente nulla da festeggiare, ma fa specie che ci sia chi parla di fallimento nonostante a inizio stagione avesse indicato la squadra di De Laurentiis come quinta forza del campionato (le cosiddette “griglie di partenza”, più o meno tutte dicevano così, controllate pure). E allora Carletto dovrebbe fare autocritica, ma anche molti di noi (e comunque giovedì al San Paolo sarà vera battaglia…).

Fine. Pare che a Notre Dame abbiano salvato le opere d’arte. Tutte o quasi. Pare che siano stati i pompieri. Eroici, come sempre (Twitter: @FBiasin).

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