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Il gesto di Kjaer, la Danimarca che torna in campo e quelle immagini che non avremmo dovuto vedere. Esaltiamo la vita e rispettiamo le tragedie, anche cambiando inquadratura e buttando via una fotografia

di Marco Conterio
Nato a Firenze il 5 maggio 1985, è caporedattore di Tuttomercatoweb e voce di TMW Radio. Inviato a Euro 2020 al seguito della Nazionale italiana.
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Continuare. Riprendere. Fermarsi. Ci sono momenti nella vita in cui giusto e sbagliato hanno confini labili, valori non assoluti. Christian Eriksen che crolla a terra, gli amici che lo circondano, cuori affranti e poi un sospiro grande come la vita. Poi Danimarca contro Finlandia è ripresa, perché l'hanno voluto i giocatori. Perché dei ragazzi di vent'anni, di trent'anni, hanno visto uno di loro cadere al suolo e hanno pensato che fosse finita. Cerchiamo attimi che valgano una vita, di coglierli, pensando però che sia infinita ed è in questi momenti che ci rendiamo che siamo soffi di vento. Per questo hanno deciso di continuare a giocare. Hanno parlato con Eriksen che aveva ripreso coscienza, respiro, sogni, paure, gioie e dolori dall'ospedale e hanno deciso di piantare l'ancora in questa esistenza così caduca, così fragile. Di piantare i propri tacchetti sul prato verde e di ascoltare l'amore della gente. E' giusto o sbagliato? E' vita, ed è abbastanza.

KJAER E L'ABBRACCIO DANESE Esaltare la vita e portarla in trionfo, questo dovrebbe essere il compito di tutti noi. Di chi la racconta ogni giorno, invece di aggravarla di termini e toni pesanti. Di chi la vive, senza troppi fardelli che poi ti lasciano rimpianti. Rispettare la vita, rispettare la morte. Esorcizzarla con anima e speranza. Ma capire che in questo mondo a tutto c'è un limite. Che le telecamere non possono e non devono indugiare sulla tragedia. Che quelle foto devono essere frutto di un terribile ed infinito attimo, ma che l'obiettivo deve finire subito altrove. Eriksen a terra esanime, la moglie in lacrime, la disperazione. Non si tratta dei nostri tempi disgraziati, la lugubre tentazione di affrontarla dietro a un pertugio ha sempre fatto parte di questo mondo. Ma così non dev'essere. Per questo Simon Kjaer che guida i compagni abbracciati a proteggere l'amico, il compagno, il ragazzo, lontano dallo sguardo altrui, è una delle immagini più strazianti e d'impatto del nostro sport. Dello sport.

IL FOTOGRAFO DI SENNA Angelo Orsi, il 1 maggio del 1994, era a Imola. Un gran fotografo, un riferimento per Autosprint e amico di Ayrton Senna. Era al Tamburello, quel giorno, in quel momento, dopo l'incidente. Scattò una sequenza di fotografie e tra queste anche l'unica, non appena i soccorsi tolsero il casco al brasiliano. Quella foto la videro solo in due. Orsi e il direttore di Autosprint, Carlo Cavicchi. Tagliarono la diapositiva in mille pezzi e di quello scatto, di quella tragedia, non rimase che una polvere di frammenti. Perché il dolore, le tragedie e la morte vanno rispettate in silenzio. Celebriamo le feste, abbracciamo Simon Kjaer che ha rappresentato ieri più che mai la quintessenza dell'essere capitano, amico, fratello, compagno, riferimento, colonna. Celebriamo la gloria, usiamo iperbole, innaffiamola di retorica, perché ora più che mai abbiamo bisogno di miele, di abbracci, di sorrisi, di eroi. Ma anche di ancore. Di radici. Di qualcosa a cui aggrapparci. Che sia un danese biondo con la fascia al braccio. Che sia un nuovo calcio d'inizio. Che sia una videochiamata a un amico che hai avuto paura di non vedere più, giusto un'ora prima. Che sia vita.

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