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Antoine Griezmann, eterno sottovalutato. Anima e recordman dell’Atletico Madrid rivale dell’Inter è da tempo uno dei migliori giocatori del mondo

di Carlo Pizzigoni
Giornalista, scrittore, autore. Quattro libri, tanti viaggi. Tutti di Calcio. Su Twitter è @pizzigo. Su Twitch con @lafieradelcalcio
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Per vivere nella stessa città del Real bisogna avere le spalle larghe. Sai già che loro, i Blancos, si prenderanno il massimo della visibilità, il massimo degli onori. Li vedi sfilare per ogni vittoria (anche se a Valdebebas trovate solo foto delle Coppe Campioni vinte, come a dire: il resto mancia). Sembrano perfetti, tutto al Real appare quasi celestiale, praticamente da sempre, cioè da quando Alfredo Di Stefano lo ha inventato.

Come fai a opporti a questo costante martellamento di bellezza e grandezza calcistica? Tu, tifoso dell’Atletico Madrid, degli altri, sei circondato. C’era una favolosa e riuscitissima campagna pubblicitaria, tempo fa. Un'auto si ferma al semaforo, il ragazzino si guarda in giro e chiede al padre, al volante: “papà por que somos del Atleti?” Lo spot si chiudeva, nel silenzio dei due protagonisti e prima di invitare il tifoso ad abbonarsi, con un romantico: “No es fácil de explicar, pero es algo muy, muy grande”. 

Mica facile. Non è un caso che ancora una parte del tifo colchonero si identifichi con gli indiani pellerossa. Essere dell’Atleti è un po’ come vivere nelle riserve, sei confinato, ma non smetti di lottare, con la forza della tua identità. Parliamo di vent’anni fa. Nel frattempo sulla panchina dell’Atletico si è seduto il Cholo Simeone: si è continuato a lottare, però si è cominciato a vincere. Come? Partido a partido, il mantra del tecnico che dei colchoneros è stato anche (apprezzato) giocatore: gara dopo gara. Di quella filosofia, che va pure oltre il campo da gioco, si è già detto di tutto. A questo futbol battagliero si è aggiunto l’uomo in più, quello che lo “vive” meglio di tutti. Antoine Griezmann è un altro “indiano”, un atipico assoluto, e non solo in campo, lì ci arriviamo dopo. Stiamo infatti parlando di un ragazzo nato in Francia, cresciuto nei Paesi Baschi, adoratore dell’Uruguay. In patria è stato messo alla porta da una lunga serie di squadre, le migliori, oltre i Pirenei è stato accolto dalla Real Sociedad, lì ha conosciuto un tecnico uruguayano che lo ha iniziato alla cultura charrua (beveva il mate, Antoine, quando ancora non era diventata una moda diffusa). Infine, completamento direi lineare del percorso, l’Atletico del Cholo, che lo accolse così, giusto dopo qualche allenamento: “È giovane, ha un'enorme vitalità e una grande comprensione del gioco. Poco alla volta occuperà altre zone di campo perché è in grado di leggere bene le situazioni”. Finalmente un oroscopo che si avvera. Nessun astrologo avrebbe però che quel ragazzino avrebbe raggiunto il record di gol della storia del club: l’amatissimo Luis Aragones: il 173esimo gol è arrivato ieri nella gara contro il Getafe, con tanto di celebrazione del Metropolitano.

Ma il mitico Luis si limitava, si fa per dire, a metterla dentro, Antoine va oltre. Molto oltre. Griezmann è diventato il leader tecnico ed emotivo dei biancorossi prossimi avversari dell’Inter negli ottavi di Champions League. E non importa se era capace di metterci sempre qualità di tocco e visione superiore di calcio, Antoine si esaltava pure nel tackle. La tentazione Barcellona è stato l’innamoramento di una notte troppo lunga e sbagliata, niente di realmente sentito. Lo sguardo è tornato a brillare rimettendo l’uniforme dell’Atletico.
Oggi, maturità, titolo da campione del mondo in tasca (da grande protagonista), è forse il miglior giocatore al mondo, uno che in campo è utile dal primo tocco della costruzione alla finalizzazione. Ma nessuno lo dirà mai. Anche perché ci sono sempre gli altri, i Blancos, con la vetrina che mostra un inglese che dice di richiamarsi a Zidane.

Il destino dell’Atleti è questo, e Griezmann lo ha accettato da tempo: lui si esalta nella lotta. Poi ci sarebbero pure dieci gol in Liga, 5 in sei partite di Champions, oltre a una serie di giocate notevoli. Perché Bellingham sarà pure un centrocampista che ha imparato ad avere presenza clamorosa in zona gol, ma la finezza tecnica delle letture del francese è un’altra cosa.

Griezmann mostra infatti una maggiore varietà di movimenti e associazioni a centrocampo, sempre sa offrire una linea di passaggio al compagno con la palla. Il fatto che non abbia una posizione fissa in attacco lo fa comparire su qualsiasi luogo libero, interno o esterno, in appoggio. I suoi movimenti di supporto si concentrano principalmente sul collegamento con i quinti o in generale con gli uomini di fascia, nella 5-3-2 dell'Atletico, quando i giocatori larghi guadagnano altezza offensiva. Griezmann attira i difensori avversari creando dubbi su chi debba marcarlo a causa della sua posizione nello spazio, cosa che facilita l'avanzata del giocatori larghi dell'Atletico. La sua posizione, infatti, è indefinita, ibrida ma parte sempre dietro l'attaccante, che spesso allunga la linea avversaria per permettere a Griezmann di vivere negli spazi intermedi. Vivere alla maniera di Antoine: magicamente. Di apparizioni: nei luoghi giusti, dentro o fuori area.
Juego para la gente que sabe de futbol, avrebbe detto un suo ex compagno di nazionale (che con Antoine si intendeva a meraviglia ma ci ha giocato insieme troppo poco, e troppe volte contro: ma qui torniamo ai buoni contro i cattivi dell’incipit).
E’ il segreto meno raccontato e meglio vissuto su un campo di calcio del Vecchio Continente. E’ l’uomo da cui partirà l’analisi del gruppo di lavoro di Simone Inzaghi: l’Atletico respira col battito di Griezmann.

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