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Ansu Fati, il 10 di Messi e la fatica di ritrovare il sorriso. La storia di  un talento sopraffino, affermatosi a Milano, che non vuole perdersi

di Carlo Pizzigoni
Giornalista, scrittore, autore. Quattro libri, tanti viaggi. Tutti di Calcio. Su Twitter è @pizzigo. Su Twitch con @lafieradelcalcio
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“Madame, madame!”
La signora di origine africana è più che altro sorpresa da quel tipo che tenta di richiamare la sua attenzione e le continua a parlare in francese.
“Seulement une question…”
“Yo?”
Ah.
Cade tutto il mio castello quando mi sento rispondere in spagnolo.
Sì perché il tipo che la chiamava insistentemente ero io. Settembre 2015, tribuna dello stadio di Cinisello Balsamo. In campo, i ragazzi under 14 del Barcellona stavano giocando il Memorial Scirea, per anni uno degli appuntamenti più importanti del calcio giovanile vissuti sul nostro territorio, dove la squadra catalana non mancava mai.
Avevo notato un giovanissimo talento con la maglia blaugrana, e sulla distinta gli metto tre asterischi:
Numero 9: Anssumane Fati.

Mi pareva un classico appellativo senegalese e, mentre mi avvicinavo all’area della tribuna dove avevo prima visto che si erano seduti tanti familiari che accompagnavano il Barça, mi ripetevo quello due-tre domande che volevo fare. Notata una signora africana, ero certo di poter ricavare, in mezzo alla folla, un momento di intimità approcciando con la lingua che immaginavo sua. Dovetti invece scivolare sullo spagnolo, attorniato da altri genitori incuriositi o scocciati dal tipo molesto. Poche battute e nessuna vera informazione, prima di riprendere la strada da cui ero arrivato e tornare a vedere il numero 9, ancora protagonista.
Anssumane, poi solo Ansu, Fati aveva realizzato nella semifinale con l’Inter un grande gol. Mi rimase impresso il talento di quel giovane (a me come a tutti i presenti) e cercai di mantenere vivo il mio interesse tanto che qualche mese dopo un amico giornalista di Barcellona, che mi informava ciclicamente sulle faccende del club culé, mi disse di un infortunio grave, la rottura di tibia e perone, avvenuta durante un derby con l’Espanyol, che gli avrebbe fatto saltare circa un anno di calcio giocato.

Eppure, quattro anni dopo lo avrei rivisto replicare la prodezza di Cinisello, ma stavolta a San Siro, sempre contro l’Inter: il suo gol elimina l’Inter di Conte e lo elegge più giovane giocatore a marcare un gol in Champions League. Qualche mese prima, ad agosto, era stato il secondo più giovane calciatore a esordire con la camiseta blaugrana. Un predestinato, insomma.

Nel novembre del 2020 a saltare è il suo menisco. Inizia qui un lunghissimo e doloroso calvario, fatto di nuovi interventi, dopo il primo in artroscopia. A gennaio è tempo per una nuova operazione, e due mesi dopo, durante la ripulitura di prassi ci si accorge che la lesione non si è ancora suturata e al termine di diversi consulti si procede alla meniscectomia, alla rimozione del menisco. Il rischio di questa pratica riguarda i possibili scompensi fisici che ne possono derivare. All’inizio della stagione 2011-2012 sembra che le cose vadano per il meglio, ed invece ecco l’ennesimo crack, stavolta al bicipite femorale della coscia sinistra che lo costringe ad un nuovo stop. Poi il rientro ed una nuova ricaduta. Meglio chiudere qui questo maledetto bollettino medico che fa accapponare la pelle e concentrarsi sulle qualità e la forza di volontà di questo ragazzo nato nell’ottobre del 2002 da una famiglia della Guinea Bissau (quindi caro Pizzigoni era il portoghese la lingua con cui approcciare la signora!) trasferitasi nel sud della Spagna in cerca di lavoro. Il papà, buon calciatore, si dice, nel suo Paese, trova impiego presso la municipalità di Herrera, cittadina a un’ora di macchina da Siviglia, e proprio qui inizia a giocare il piccolo Ansu. Poche gare e poi il suo nome viaggia per tutto il Paese e giungono segnalazioni alla vicina Siviglia, ma anche, ovviamente, a Madrid e a Barcellona, dove poi la famiglia sceglie di andare. Il ragazzo figlio di africani è piccolo ma ha un’esplosività notevole e alla Masia lo mettono subito in squadra con i 2001. Una squadra da favola, quella: dietro l’attuale centrale del Barça, ex Manchester City, Eric Garcia, davanti, a far coppia con Fati, il giapponese Take Kubo (oggi alla Real Sociedad), protagonista di 73 gol in quella stagione: con Ansu che si ferma a 56 (ma in quella “Avenil A” non si annotavano gli assist…)

Alla cantera del Barcellona, si sa, sanno riconoscere il talento, ma qui tutti si accorgono che si ha davvero a che fare con l’ hors categorie. Non è quindi evidentemente un caso che quando il miglior giocatore di tutti i tempi, anche lui cresciuto alla Masia, lascia la Catalogna, la maglia numero 10 passa sulle spalle di Ansu Fati.
Ad accoglierla, il solito sorriso. Perché il calcio di questo ragazzo è sempre stato un calcio di gioia, da vivere e da trasmettere. Fino a oggi, e nonostante quella via crucis sopra descritta.
Le partite di questo super talento sono state ovviamente abitate dalla paura, ed è psicologicamente che il Barcellona sta cercando di lavorare su di lui. Xavi in questa stagione sta cercando di inserirlo nella squadra titolare, tornata finalmente competitiva, nella sua posizione naturale, largo a sinistra nel 433. Nell’ultima gara di campionato è lui a dare la palla a Lewandowski, che segnerà alla sua maniera un gol straordinario da tre punti in quel di Maiorca. E’ l’unica giocata di qualità di una partita di 67 minuti con zero tiri in porta. Poi, il cambio con Raphinha, l’ incoraggiante accoglienza in panchina di tanti suoi compagni e alcuni primi piani delle riprese televisive. Manca il sorriso, mentre osserva distratto gli ultimi minuti dei suoi compagni. “ Ho bisogno di vedere qualche sua partita in più nel Barcellona, prima di convocarlo: so quanto vale”, ha detto Luis Enrique, che lo ha convocato e messo in campo a 17 anni e 308 giorni, stabilendo l’ennesimo record di precocità (poi gli avrebbe sottratto quel primato, per pochi giorni, il compagno di squadra Gavi).

Ieri Ansu ha rivisto San Siro, lo stadio del primo gol in Champions. Magari è bastato per riaccendergli un ricordo e il sorriso. Ritrovarlo con continuità sarà il primo grande segnale che il ragazzo è davvero e finalmente tornato: glielo auguriamo tutti, gli dei del calcio siano clementi con lui.

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