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ESCLUSIVA TMW - Fish: "Il Vaticano mi ha cambiato. La mia Fondazione per aiutare ragazzi sudafricani"

di Gaetano Mocciaro
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© foto di mff.org.za

Nel 1996 la Serie A abbracciava il primo calciatore sudafricano. Fresco campione continentale con una nazionale che da poco si era affacciata al mondo, dopo esser stata bandita per 40 anni a seguito del regime di apartheid che discriminava e segregava la popolazione nera. Mark Fish era uno dei simboli dei Bafana Bafana, l'esempio di come il calcio stava unendo due popolazioni che convivevano all'interno dello stesso Paese. Difensore centrale di forza fisica e grande tempismo, ha avuto la possibilità di misurarsi nel nostro campionato vestendo la prestigiosa maglia della Lazio. Chiuderà l'esperienza con 15 presenze, prima di approdare nel campionato inglese. Oggi, a 47 anni, è tornato in patria e non ha abbandonato il mondo del pallone. Il suo obiettivo, anzi, è contribuire a far tornare il Sudafrica ad essere un gigante del calcio africano. Ai microfoni di Tuttomercatoweb lo stesso Fish si racconta:

Mark Fish, cosa fa oggi?
"Vivo a Pretoria e gestisco la Mark Fish Foundation. Organizziamo tornei giovanili, cerchiamo di sviluppare il calcio giovanile in Sudafrica pescando i ragazzi dalle aree rurali del Paese. Da una parte li aiutiamo ad avere un'istruzione, un'educazione migliore. Vogliamo far diventare questi ragazzi degli uomini. Ed è questa la cosa principale. Ma vorremmo inoltre fare in modo che essi possano poi riportare il Sudafrica calcistico ai suoi anni d'oro".

Qual è la situazione che si vive attualmente in Sudafrica?
"Sfortunatamente la corruzione è una piaga che colpisce il Paese. Per cui chi è in una posizione economica e sociale migliore ottiene un lavoro migliore, ma anche nello sport. È necessari cambiare le cose, cercare di migliorare il Paese. A cominciare dall'istruzione ed è questo uno dei motivi che mi ha spinto a creare la Fondazione".

Guardando i suoi profili social notiamo che è una persona molto religiosa
"Cerco di diffondere la parola di Dio attraverso le azioni e non con le parole. Ho avuto la fortuna di vivere a Roma, vedere il Vaticano è stata un'esperienza incredibile che mi ha profondamente cambiato a livello spirituale. Al resto hanno contribuito i miei viaggi, che hanno aperto la mia mente e mi hanno aiutato a crescere".

Recentemente ha lavorato per la Federazione sudafricana
"Ho cercato di mettere la mia conoscenza del calcio a disposizione del nostro movimento. Ho provato ad apportare delle modifiche, cambiare la faccia del calcio sudafricano. Senza successo, ma il corpo non reagisce se qualcosa nella testa non va".

In definitiva, c'erano divergenze con i piani alti federali...
"Esattamente".

Sudafrica 2010 è stata la grande occasione per rilanciarsi per il vostro paese. Sembra non esser stata colta a pieno
"Sono state costruite buone infrastrutture, il problema è che dopo il boom dei Mondiali non è stata cavalcata l'onda. Prima di tutto il problema è come si insegna il calcio. E come è gestito dai club. Troppi soldi che girano, ma girano male. C'è avidità. È un peccato perché i sudafricani amano il calcio ma per colpa di chi lo gestisce".

Parliamo della sua esperienza in Italia: nel 1996 arriva alla Lazio come miglior difensore africano, fresco campione continentale. Anche il Manchester United era su di Lei. Come mai scelse i biancocelesti?
"Il calcio italiano era il migliore al mondo e da difensore avevo l'opportunità di crescere, di affinare le mie qualità. E poi c'era la prospettiva di vivere a Roma, una città bellissima".

L'esperienza è andata al di sotto delle aspettative
"In Sudafrica mi allenavo tre volte alla settimana, era completamente diverso. Mi sono ritrovato in Italia dove ti allenavi due volte al giorno. Insomma, uno step non indifferente. Ma che mi ha permesso di imparare tanto, peraltro giocando al fianco di grandi campioni come Alessandro Nesta, il massimo nel ruolo di centrale".

Dai tre allenamenti alla settimana in Sudafrica ai metodi di Zeman, direi un abisso più che una grande differenza
"Ho accettato tutto, non è mai stato un problema faticare. Non posso lamentarmi di Zeman. Sfortunatamente, nel corso dell'anno è stato esonerato ed è arrivato Zoff. Quando è arrivato ero fuori con la nazionale. Ha fatto dei cambi e di fatto ho perso il posto. Con la stagione nuova è arrivato Eriksson che ha portato i suoi giocatori di fiducia e per me non c'è stato più spazio".

C'è stata una parentesi brevissima al Bologna, estate 1997
"Ho fatto il precampionato, con la possibilità di allenarmi col grande Roberto Baggio. Poi è arrivata la chiamata del Bolton e ho deciso di trasferirmi in Inghilterra".

Domanda veloce, risposta veloce: miglior giocatore?
"Alessandro Nesta era certamente il mio calciatore preferito quando ero in attività".

Punto più alto della carriera?
"La vittoria in Champions League africana con l'Orlando Pirates nel 1996".

Cosa ha rappresentato la vittoria della Coppa d'Africa al primo torneo disputato dopo la fine dell'Apartheid?
"È stato un momento storico nel quale stavano cambiando tante cose, col ritorno di Nelson Mandela. Lo sport è stato utilizzato come veicolo per unire il paese e quella vittoria nel 1996 ci rese davvero uniti".

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