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#TottenhamLiverpool - Klopp, lacrime e gioia. Degno erede di Shankly

di Marco Conterio

Jurgen Klopp da Stoccarda ha pianto, quel 23 maggio. Seduto sul campo Westfalenstadion, ha guardato la sua gente. Una coreografia che si dedica alle leggende, a chi ha dato l'anima. A chi ha dato il cuore. Perché Kloppo è così, ti entra dentro e non se ne va. E' simbiosi e sintonia, capelli al vento, un disordine organizzato. Il sorriso travolgente, il meno tedesco dei tedeschi se viaggiamo per stereotipi. Klopp è stato Magonza, è stato il fiume giallonero di Dortmund, incarna meglio di ogni altro quel che è l'anima rossa di Liverpool. E' degno erede di Shankly e Keegan, perché sembra l'allenatore della gente e tra la gente. Sventola il pugno verso la Kop, Klopp for the Kop. Lancia il cappello, sorride con gli occhi, con le labbra, perso in un mare d'abbracci, lui che non camminerà mai da solo.

Ha perso l'ultima finale contro il Real Madrid perché è stato l'anno perfetto, dove gli Dei hanno rovesciato il mondo, Ronaldo co la Juventus e Bale coi rossi del Mersey. Si gioca questa da favorito e aberra il termine, perché nel suo essere popolare c'è anche la rivoluzione silenziosa di un eterno underdog. Al Borussia, contro il potere bavarese, in Inghilterra, con Guardiola e il suo City, i suoi petroldollari. Invece Klopp è il favorito, nonostante rifiuti percentuali bulgare e voglia pareggiare il piatto della bilancia, contro Mauricio Pochettino. "La finale Champions? Il mio momento più alto è stato col Mainz". Perché le categorie non fanno la differenza, quando si parla di gioia e felicità. Di quell'istinto animale, che porta a eruttare o a piangere, al momento dell'addio. In attesa di un sogno ancora più grande.


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