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Why always you?

di Raimondo De Magistris

Ci risiamo. Siamo di nuovo qui a raccontare di una storia finita male. Come a Marsiglia, quando salutò con una squalifica di quattro giornate. Come al Milan, quando Mihajlovic lo scaricò a stagione in corso perché fuori condizione. O al Liverpool, quando bastò un anno per dire che 'Andrà via, è solo un problema'. O all'Inter, quando lanciò la maglietta durante Inter-Barcellona. Quell'episodio fu il primo di una lunga serie di 'balotellate', da allora sono passati più di dieci anni. Ma in fondo, quando si parla di Mario Balotelli, la trama è sempre la stessa. Cambia il contorno, non cambia la sostanza.

Una lunga carriera vissuta senza mai affrontare sé stesso. Incolpando sempre gli altri perché gli altri non lo capiscono: che forse è vero, ma alimentando sistematicamente questo cortocircuito.
E con l'ausilio di Mino Raiola, che può andare orgoglioso per il lavoro svolto con Balotelli: dal punto di vista professionale, qualcosa di incredibile. Forse la sua più grande vittoria visti i contratti che è riuscito a stipulare dopo ogni fallimento. Da una big all'altra sempre con la nomea e con lo stipendio del top player senza mai fermarsi al riflettere sul perché, nel frattempo, la sua carriera scorresse via inanellando delusioni e alimentando discussioni.

Ogni volta con la promessa che sarebbe stato diverso, ogni volta col risultato di promesse disattese. E' stato così anche questa volta, chissà se è quella definitiva. In un Brescia che doveva rappresentare il ritorno alle origini e invece l'ha scaricato prima del rush finale. In un Brescia contro cui Balotelli ha già iniziato la sua battaglia legale. Un'altra, l'ennesimo epilogo triste. Why always you?


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