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Ungheria, Marco Rossi: "Mai più in Italia. Mancini? Mi chiamava per il figlio, non l'ho più sentito"

di Michele Pavese

Lunga ed interessante intervista di Repubblica al CT ungherese Marco Rossi. Il tecnico italiano, che domani si giocherà lo spareggio d'accesso a Euro 2020 contro l'Islanda, ha ripercorso la sua carriera da allenatore: "Allenare in C in Italia è scoraggiante. Puoi anche raggiungere risultati straordinari, ma non ti si fila nessuno. Così, stavo pensando di lavorare con mio fratello come commercialista. Mi sono ritrovato in Ungheria per caso. Quando ero a Francoforte, un ristoratore italiano mi disse che all'Honved c'era un dirigente italiano e che cercavano un allenatore. Mi ha convinto a chiamarlo a mi presero. Facemmo un'impresa, arrivando al titolo dopo 24 anni con una squadra dal budget più basso del campionato. Io guadagnavo 2.800 euro al mese. Poi il club non rispettò i patti e me ne andai allo Streda, prima di approdare in Nazionale".

I punti di riferimento: "Bielsa e Lucescu. Il primo l'ho conosciuto quando giocavo in Messico: aveva un ufficio pieno di vhs, guardava partite dalla mattina alla sera. Mi ha insegnato che il gioco parte dai difensori, 25 anni fa era un'eresia. Lucescu è stato un grande insegnante di tattica"

I due fenomeni magiari: "Szoboszlai è eccezionale. Il padre lo portò a Salisburgo quando aveva 14 anni, farà una grande carriera. Ma ce n'è un altro fortissimo, Orban del Lipsia".

Il rapporto con Mancini: "Siamo stati compagni di squadra alla Samp, mi chiamava spesso quando suo figlio giocava alla Honved. Poi non l'ho mai più sentito".

Italia mai più: "Non c'è cultura sportiva, né pazienza. Con la Federazione ungherese abbiamo un progetto a lunga scadenza, ma prima pensiamo ai play-off".


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